T.A.R.


Piemonte – Torino


Sezione I


Ordinanza 30 luglio 2008, n. 57


(Pres. Bianchi, Est. Graziano)


REPUBBLICA ITALIANA


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte


(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


ORDINANZA


Sul ricorso numero di registro generale 185 del 2007, proposto da:B. Ermete Francesco, rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Carlo Emanuele Gallo, con domicilio eletto presso il medesimo in Torino, via Pietro Palmieri, 40;


contro


Corte dei Conti; Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato e domiciliati per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;


per l’annullamento


della Deliberazione assunta dal Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, in sede disciplinare, nell’Adunanza del 9.11.2006, sottoscritta il 24 novembre successivo, e comunicata con nota 27 novembre 2006, in seguito prevenuta, che ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare dell’ammonimento, nonché per l’annullamento degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del procedimento, ivi compreso il Decreto emanato dal presidente della Corte dei Conti in data 20.7.2006, n. 9, che ha disposto la trattazione orarle del procedimento e la deliberazione assunta dal Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti nella seduta del 20 luglio 2006, che ha ritenuto di non prosciogliere il ricorrente dagli addebiti contestati, e per ogni ulteriore consequenziale statuizione.


Visto il ricorso con i relativi allegati;


Viste le memorie difensive;


Visti tutti gli atti della causa;


Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;


Relatore nell’Udienza pubblica del giorno 08/05/2008 il Referendario Avv. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


1. Con il ricorso in epigrafe il Procuratore Regionale della Corte dei Conti per la Regione Piemonte, Cons. C.F.B., gravava i provvedimenti impugnati del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, con i quali all’esito di un’istruttoria disciplinare e di un’udienza segreta nel corso delle quali gli era stata negata la facoltà di scelta di un avvocato del libero Foro come difenso-re di fiducia, gli veniva inflitta la sanzione disciplinare dell’ammonimento, per aver espresso delle valutazioni in punto di responsabilità in merito alle aggressioni della Polizia sui manifestanti nei fatti del 7 di-cembre 2005 relativi alle contestazioni del programma governativo delle linee ferroviarie TAV.


Il ricorso, affidato a diversi articolati motivi, poggia anche, al quarto motivo, sull’eccezione di ille-gittimità costituzionale degli artt. 10, comma 9 della l. 3.4.1988, n. 117 e 34, comma 2 della legge 27.4.1982, n.186 il cui combinato disposto consente al magistrato amministrativo o contabile fatto oggetto di un procedimento disciplinare, di farsi assistere unicamente da un altro magistrato, con esclusione, quindi, della facoltà di nominare quale difensore un avvocato del libero Foro.


Si è costituita in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in rappresentanza della Corte dei Conti, la quale, per il tramite dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, ha chiesto il rigetto del ri-corso nonché della proposta questione di costituzionalità, da dichiararsi manifestamente infondata.


Con ampia discussione orale il patrono del Magistrato ricorrente ha ulteriormente corroborato le sue tesi difensive, instando, in particolare, per la declaratoria di non manifesta infondatezza della tratteggiata questione di legittimità costituzionale e la conseguente rimessione degli atti a codesta sovrana Corte.


2.1. Brevemente ricostruendo il corpus normativo indubitato di infrazione costituzionale, osserva il remittente Collegio come il procedimento disciplinare dei magistrati contabili non sia dotato di autonoma disciplina, essendo laconicamente regolato dalla legge sulla responsabilità civile dei magistrati, la L. 13 aprile 1988, n. 117, il cui art. 10, nel contemplare le attribuzioni del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, al comma 9 stabilisce che il procedimento disciplinare a carico dei magistrati contabili è promosso dal Procuratore Generale e che nella relativa procedura si applicano gli artt. 32, 33 buona parte, e 34 della l. 27.4.1982 n.186 sull’organizzazione e il funzionamento della Magistratura amministrativa.


Più in dettaglio, l’art. 34, comma 2 della citata L. n. 186/1982 dispone che il Magistrato amministrativo incolpato prende la parola per ultimo ed ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato.


Non è, consentito, dunque, a legislazione vigente, che un Giudice amministrativo o contabile – stan-te il richiamato rinvio normativo – possa nominare come difensore in un procedimento disciplinare a suo carico, un avvocato del libero Foro.


Siffatta preclusione appare al ricorrente irragionevole, illogica, contrastante con gli articoli 3,24, 101 e 108 della Carta Costituzionale, violando il diritto di difesa e altresì vulnerando il principio di uguaglianza, posto che per i magistrati ordinari codesta sovrana Corte, con la sentenza 16.11.2000, n. 479, ha introdotto nel relativo ordinamento disciplinare la facoltà di farsi assistere da un avvocato del libero Foro, attraverso la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 34 , comma 2 del R.D.Lgs. 31.5.1946, n. 511 nella parte in cui escludeva che un Magistrato ordinario sottoposto a procedimento disciplinare potesse affidare l’ufficio difensivo ad un avvocato del libero Foro.


2.2. Ritiene sul punto il remittente Collegio che la questione di legittimità costituzionale in argomento sia rilevante e non manifestamente infondata, per le ragioni che verranno appresso illustrate. Reputa, tuttavia, che la questione prospettata debba essere approfondita e che, quindi, il sospetto di illegittimità costituzionale della denunciata normativa meriti di essere suffragato da ulteriori e più ampie considerazioni di teoria generale.


Quanto al requisito della rilevanza, lo stesso deve predicarsi, nel caso all’esame, in considerazione della circostanza che risulta agli atti che il Procuratore Ermete Bogetti ha ritualmente domandato che gli venisse riconosciuto il diritto di avvalersi di un avvocato, contestualmente sollevando la questione di legittimità costituzionale della denunciata normativa, ma l’eccezione è stata dichiarata inammissibile sul rilievo che il procedimento disciplinare non avesse natura giurisdizionale, conseguendone l’impossibilità di sollevare questioni di costituzionalità. Da ciò la ragione della riproposizione della questione in questa sede di giustizia, questione che appare rilevante poiché se venisse dichiarata fondata il ricorso meriterebbe accoglimento anche per il solo motivo in esame.


Ma il Collegio, come anticipato, è dell’avviso che la questione sia anche non manifestamente infondata per le ragioni appresso illustrate.


3.1. Giova all’uopo rimarcare che il procedimento disciplinare a carico di un magistrato – sia esso ordinario, amministrativo o contabile – deve svolgersi assicurando all’incolpato la massima espansione delle garanzie difensive, poiché il Magistrato è un potere dello Stato, espressione della Magistratura tutta alla quale appartiene e portatore, dunque, di quell’istanza di indipendenza che lo colloca nell’ordinamento in una posizione di assoluta terzietà a garanzia dell’attuazione imparziale del precetto legislativo mercé l’interpretazione e l’applicazione della regula iuris alle fattispecie concrete.


Merita al riguardo di essere rammentato che codesta sovrana Corte ha autorevolmente delineato l’inscindibile legame che sussiste tra indipendenza del Magistrato e garanzia del diritto di difesa, là dove, con la sentenza 16.11.2000, n. 497 (Red. Mezzanotte) con la quale ha cassato l’art.34, comma 2 del R.D. Lgs. 31.5.1946, n. 511 (legge sulle guarentigie della magistratura) in materia di procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari, ha elegantemente posto in luce che “davanti alla sezione disciplinare, tanto più se si tiene conto della mancata tipizzazione legislativa degli illeciti, il diritto di difesa, a partire dalla prima delle facoltà che esso racchiude, quella della scelta del difensore, deve essere configurato in modo che nello stesso incolpato e nella pubblica opinione in nessun caso possa ingenerarsi il sospetto, anche il più remoto, che il procedimento disciplinare si trasformi in uno strumento per reprimere convincimenti sgraditi o per condizionare l’esercizio indipendente delle funzioni giudiziarie”.


Deve quindi, il procedimento disciplinare, essere la sede in cui si esaltano le garanzie di libertà e di difesa, allo scopo di porre in condizione il magistrato incolpato, di fugare ogni dubbio in ordine alla funzione più genuina che va ascritta al procedimento disciplinare, che non può e non deve essere mai avvertito dalla communis opinio come l’occasione per una “caccia alle streghe”.


Il più ampio dispiegarsi delle garanzie difensive si impone, dunque, nel procedimento disciplinare a carico di un Magistrato di qualsivoglia ordine di appartenenza, al precipuo scopo di preservare e garantire al massimo grado la prerogativa dell’indipendenza, la quale contraddistingue il singolo Giudice, ponendolo in una posizione di assoluta equidistanza e terzietà rispetto ad ogni altro soggetto dello Stato – Comunità e dello Stato – Apparato.


Appare pertanto quanto mai persuasiva la sottolineatura, operata da codesta sovrana Corte con la sentenza n. 497/2000, dell’esistenza di una stretta e biunivoca corrispondenza tra l’indipendenza e la massima espansione del diritto di difesa, la quale deve essere sempre garantita ad un magistrato: “Vi è quindi stretta correlazione tra l’indipendenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e la facoltà di scelta del difensore da lui ritenuto più adatto, sicché limitare quest’ultima facoltà significa in definitiva menomare in parte anche il valore dell’indipendenza” (Corte Cost., 16.11.2000, n. 497).


Se, dunque, riconoscere il diritto di difesa nella sua preminente e fondamentale forma di manifestazione costituita dalla scelta del difensore equivale a garantire l’indipendenza del Magistrato, allora si stenta ad individuare ragioni ostative, discendenti da superiori valori costituzionali, per le quali il diritto di difesa e la correlativa facoltà di optare per un difensore del libero Foro, non debbano attribuirsi anche ad un Magistrato contabile o amministrativo, al pari di quanto ormai accade per il magistrato ordinario a seguito dell’intervento demolitivo del comma 2 dell’art. 32 del R. D.Lgs. n. 511/1946 attuato da codesto supremo Giudice con la richiamata sentenza.


3.2. Vale la pena sul punto ricostruire a grandi tratti la cornice normativa che circonda la garanzia del diritto di difesa, quale si è venuto delineando in forza della pervasività del diritto di matrice comunitaria, scaturente dalla pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.


Non può non ricordare il remittente Collegio che vigono in materia dei principi ispiratori della disciplina del «patrimonio costituzionale comune» che permea il diritto comune alle varie nazioni europee, relativo al procedimento amministrativo (Corte Cost., sentenza n. 104 del 2006) desumibili dagli obblighi internazionali, dall’ordinamento comunitario e dalla legislazione nazionale.


A livello normativo “comune” vanno in proposito ricordati l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952»; l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, nonché nostra la legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente «Nuove norme sul procedimento amministrativo». Non va infatti trascurato che la normativa nazionale sul procedimento e, segnatamente, le norme sulla partecipazione procedimentale sono all’evidenza ispirata al perseguimento delle garanzie afferenti al diritto di difesa del cittadino a fronte dello svolgersi dell’istruttoria procedimentale. Si pesi all’impatto e all’insieme dei valori costituzionali di cui costituisce il precipitato, dell’art. 10 –bis, introdotto nell’ossatura della legge dalla novella di cui alla l. 11.2.2005, n. 15.


Orbene, in forza delle richiamate disposizioni normative vanno garantiti all’interessato alcuni essenziali strumenti di difesa, quali la conoscenza degli atti che lo riguardano, la partecipazione alla formazione dei medesimi, il diritto di conoscere preventivamente le ragioni ostative al rilascio di un provvedimento ampliativo richiesto e la facoltà di contestarne il fondamento (Corte Cost.,sentenze n. 460 del 2000 e nn. 505 e 126 del 1995) e di pretendere che le sue deduzioni procedimentali, ove pertinenti, vengano attentamente valutate, con relativa esternazione nella motivazione del provvedimento finale.


Illuminante risulta in tema, anche la posizione assunta ormai da più di un decennio, dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, a stare alla quale il diritto di difesa «impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista» (Corte di giustizia, sentenza 24 ottobre 1996, C-32/95 P., Commissione Comunità europea c. Lisrestal).


Orbene, siffatta statuizione deve, a parere del remittente Collegio, trovare applicazione al caso all’esame, posto che non v’ha dubbio che si è al cospetto di una decisione – quella resa in esito al procedimento disciplinare – che è idonea a pregiudicare in misura sensibile gli interessi del Magistrato incolpato, il quale, in ossequio alla richiamata pronuncia deve essere posto nella condizione di “far conoscere utilmente” il suo punto di vista. Il che, postula il preliminare riconoscimento all’incolpato, della facoltà di scegliere liberamente il proprio difensore tecnico, facoltà che, come codesta sovrana Corte ha evidenziato nella sentenza che si invoca, sostanzia la massima espansione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Carta costituzionale.


La delineata espansione della garanzia costituzionale in argomento discende, dunque, dalla indefettibile considerazione della portata e degli effetti del procedimento disciplinare, il quale, sempre secondo la statuizione di codesto supremo Giudice delle Leggi, “come tutti i procedimenti disciplinari potenzialmente incidenti sullo status professionale, tocca la posizione del soggetto nella vita lavorativa e coinvolge quindi beni della persona che già richiedono, di per sé, le garanzie più efficaci” (Corte Cost., n. 497/2000).


Ebbene, se l’apprestamento, da parte dell’ordinamento, di siffatte “garanzie più efficaci” deve essere garantito, come affermato da codesta Consulta, relativamente a qualsivoglia persona soggetta a ius corrigendi e al correlativo procedimento disciplinare, tale esigenza si avverte ed esalta al massimo grado nell’ipotesi in cui sia incolpato un magistrato. Invero, come codesta sovrana Corte ha significativamente posto in luce, “con riferimento ai magistrati l’esigenza di una massima espansione delle garanzie difensive si fa, se possibile, ancora più stringente, poiché nel patrimonio di beni compresi nel loro status professionale vi è anche quello dell’indipendenza, la quale, se appartiene alla magistratura nel suo complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, qualificandone la posizione sia all’interno che all’esterno: nei confronti degli altri magistrati, di ogni altro potere dello Stato” (Corte Cost., n. 497/2000).


3.3. Osserva quindi il remittente Collegio che se, come ha sancito codesta sovrana Corte con l’inciso appena riportato, la chiave di volta della controversa questione e al contempo la nota distintiva del procedimento disciplinare a carico di un Magistrato è la tutela dell’insopprimibile valore dell’indipendenza, che impone di assicurare all’incolpato la massima espansione del diritto di difesa ( dalla quale consegue di necessità l’attribuzione della facoltà di libera scelta del suo difensore), allora non può che pervenirsi, per la soluzione della prospettata questione, alle stesse conclusioni cui codesto supremo Giudice è pervenuto relativamente ai Magistrati ordinari.


Al pari di questi, infatti, anche i Magistrati contabili e amministrativi includono nel loro patrimonio come bene principale la prerogativa dell’indipendenza.


Preme al riguardo al Collegio ricordare che nel nostro ordinamento ogni Magistrato, sia che appartenga all’ordine giudiziario (costituito dai magistrati ordinari) sia che appartenga ad altre magistrature e, segnatamente, a quelle speciali, è dotato della prerogativa dell’indipendenza, che lo distingue da tutti gli altri funzionari dello Stato. Anche i magistrati amministrativi e quelli contabili sono indipendenti da ogni altro potere dello Stato e siffatta qualità e prerogativa è riconosciuta dalla Costituzione, la quale obbliga il legislatore a garantire ed assicurare, con le sue leggi, l’indipendenza del giudice speciale. Ai sensi dl’art. 108, comma 2 della Carta fondamentale, infatti, “la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse”.


E allora, posto che qualità precipua e distintiva dei giudici speciali, quali i Giudici amministrativi e contabili, nonché del Pubblico Ministero presso la magistrata contabile è, in forza dell’art. 108, comma 2 della Costituzione, l’indipendenza e posto anche detta norma fa preciso obbligo al legislatore ordinario di assicurare l’indipendenza di detti Magistrati e considerato che, secondo il pronunciamento di codesta sovrana Corte di cui alla sentenza n. 497/2000 deve essere garantito al magistrato ordinario sottoposto a procedimento disciplinare il diritto di scegliere quale difensore tecnico un avvocato del libero Foro in virtù del rilievo del valore dell’indipendenza, “sicché limitare quest’ultima facoltà significa in definitiva menomare in parte anche il valore dell’indipendenza” (Corte Cost., n. 497/2000), ne consegue che il diritto di nominare come difensore un avvocato del libero Foro deve essere necessariamente riconosciuto anche ad un magistrato della Corte dei Conti o del ruolo della Magistratura amministrativa, poiché anche tali Giudici godono della prerogativa e dell’indefettibile valore dell’indipendenza, la quale, come detto, deve essere assicurata dal legislatore in osservanza del precetto di cui all’art. 108, coma 2 della Costituzione.


4.1. Milita inoltre, a parere di questo Giudice, a suffragio della lumeggiata conclusione, non soltanto l’evidenza e l’incomprimibilità anche indiretta della prerogativa dell’indipendenza, che è patrimonio di ogni Magistrato, a qualsivoglia ordine appartenga, ma anche la finalità di preservare il prestigio della Magistratura. Accordando al magistrato incolpato la massima espansione del diritto di difesa, gli si consente, infatti, di far valere al meglio le sue ragioni onde dimostrare che non è incorso nella mancanza disciplinare contestatagli, ergo che la funzione giudiziaria si è correttamente svolta e che invulnerato è rimasto il decoro e il prestigio dell’intero ordine giudiziario a cui egli appartiene. Giova al riguardo ricordare che la delineata sottolineatura di siffatta finalità perseguenda con il riconoscimento al magistrato incolpato del diritto di scelta di un difensore del libero Foro è stata già finemente tratteggiata da codesta sovrana Corte con la sentenza più volte citata, là dove si è esattamente rilevato che “il massimo di incisività delle garanzie accordate al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, infatti, non può che convertirsi in una altrettanto incisiva tutela del prestigio dell’ordine giudiziario e del corretto e regolare svolgimento delle funzioni giudiziarie.” (Corte Cost. N, 497/2000).


Dal rilievo della prerogativa dell’indipendenza e dall’esigenza di preservare il prestigio dell’ordine giudiziario e il corretto svolgimento delle relativa funzioni iusdicenti discende, pertanto, ad avviso del remittente Collegio e sulla scorta delle conclusioni cui codesto supremo Consesso è pervenuto relativamente al procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari, che suscitano seri e fondati dubbi di infrazione costituzionale l’art. 34, comma 2 della l. 27 aprile 1982, n, 186 (legge che regola l’organizzazione e il funzionamento della magistratura amministrativa) e l’art. 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (legge introduttiva e regolatrice della responsabilità civile dei magistrati) che rinvia per la regolamentazione del provvedimento disciplinare a carico dei magistrati della Corte dei Conti alla disciplina recata, tra le altre norme, anche dall’art. 34, comma 2 della citata l. n. 186/1982. Il remittente Collegio indubita di infrazione costituzionale le denunciate norme per contrasto sia con l’art. 24, che scolpisce il diritto di difesa, sia con l’art. 108, comma 2 della Costituzione (che obbliga il legislatore ordinario ad assicurare l’indipendenza dei Giudici delle giurisdizioni speciali e del Pubblico Ministero presso di esse) nella parte in cui, consentendo al Magistrato amministrativo e contabile sottoposto a procedimento disciplinare, di farsi assistere quale difensore tecnico da un altro magistrato, inibiscono all’incolpato di nominare difensore di fiducia un avvocato del libero Foro.


4.2. Supporta, del resto, a parere di questo Giudice l’idea che debba consentirsi anche ad un Magistrato amministrativo o contabile di farsi assistere da un avvocato, anche la doverosa considerazione dell’idoneità tecnica alla difesa che deve presumersi posseduta da un avvocato iscritto all’Albo ordinario. Invero, la ratio della denunciata norma, come sempre codesta sovrana Corte con la pronuncia più volte invocata ha autorevolmente sottolineato a proposito dell’omologa cassata norma dell’ordinamento giudiziario, risiede non già in una recondita istanza corporativa, bensì in una sorta di presunzione che l’affidamento della difesa del magistrato ad un altro magistrato offre sicure garanzie di competenza tecnica, posto che “la scelta dell’incolpato cade su un collega non in quanto appartenente ad una presunta corporazione di soggetti interessati alla tutela del prestigio dell’ordine giudiziario, ma in quanto ritenuto in possesso dell’idoneità tecnica per assumere una siffatta difesa”. Me se tale è la finalità della legge e se, quindi, è esatto quanto codesto supremo Consesso ha evidenziato nelle stessa sentenza, che, cioè, “ la validità della scelta legislativa deve essere misurata sul piano dell’idoneità tecnica del difensore”, le conseguenze non potranno che essere le stesse a cui codesta sovrana Corte è pervenuta con la pronuncia n. 497/2000, ovverosia che “allora restano prive di qualunque fondamento giustificativo la limitazione ai soli magistrati della sfera dei soggetti legittimati a svolgere l’ufficio difensivo e la conseguente esclusione degli avvocati del libero Foro, ai quali, a causa del loro specifico statuto professionale, l’attitudine a difendere non può essere disconosciuta.”


Chi più di un avvocato del libero Foro può infatti garantire ad un Magistrato, in ipotesi ingiustamente incolpato, la necessaria e migliore difesa; sembra infatti al remittente Collegio irragionevole privare il Magistrato della facoltà di nominare un difensore professionale, pur non disconoscendosi che talora un altro magistrato appartenente al medesimo ordine, può dar prova di possedere competenze difensive non inferiori a quelle proprie di un avvocato.


Tuttavia, non può ugualmente essere disconosciuto che l’archetipo dell’avvocato – specie se con alle spalle una pluriennale attività ed esperienza – evoca una figura professionale dotata di un background di tecniche difensive affinate nella pratica giudiziaria quotidiana ed esaltate dall’attitudine all’analisi del fatto e talora dall’eloquenza.


Patrimonio dell’intera umanità permangono infatti ancora oggi le fatidiche “olintiache” o “filippiche” di Demostene, preclaro avvocato ateniese, con le quali l’oratore, nel IV secolo A.C., incitava il Senato e lo stesso popolo di Atene ad insorgere contro l’invasore macedone Alessandro Magno.


Per non dire poi della grandiosità del “De Oratore” di Cicerone, una vera summa di eloquenza, vademecum di tecniche oratorie e stilemi retorici che ancora oggi viene additato a simbolo della più raffinata quanto insuperata espressione di capacità di analisi e di esposizione di tesi difensive.


Si stenta, quindi, ad individuare superiori preganti ragioni nel cui nome interdire ad un Magistrato amministrativo o contabile di scegliere quale suo patrono un difensore professionale da attingere al libero Foro. Il riconoscimento di siffatta facoltà, condivisibilmente introdotto nell’ordinamento della legge sulle guarentigie della Magistratura da codesta sovrana Corte, fonda sia sull’istanza di perseguimento del valore dell’indipendenza, obiettivo che non può prescindere dall’assicurare la massima espansione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione, sia ad avviso del remittente Collegio, su un doveroso riconoscimento della professionalità e della specialità della categoria professionale forense, la quale deve considerarsi assistita da una presunzione di qualificata idoneità alla difesa di chiunque sia incolpato, anche di un Magistrato.


Atteso, dunque, che siffatta condivisibile conclusione si è imposta relativamente ai magistrati ordinari in forza delle considerazioni tutte sopra riepilogate ed incisivamente espresse da codesto Giudice delle Leggi prevalentemente sul giusto rilievo e sulla doverosa considerazione della prerogativa dell’indipendenza dei magistrati ordinari, le stesse conclusioni dovranno essere raggiunte relativamente ai magistrati Amministrativi e contabili. Va considerato, infatti, che i presupposti e gli elementi costitutivi della questione prospettata sono i medesimi che caratterizzavano la fattispecie oggetto della pronuncia del 2000 in quanto: 1) la disposizione oggi denunciata ha lo stesso tenore di quella oggetto dell’intervento demolitivo operato con la sentenza 497/2000, inibendo, al pari della prima, ad un magistrato – contabile o amministrativo – sottoposto procedimento disciplinare la facoltà di farsi assistere da un Legale del libero Foro; 2) il magistrato amministrativo e quello contabile sono dotati della qualità e della prerogativa dell’indipendenza non meno dei magistrati ordinari; prerogativa che, anzi, la legge deve assicurare a tali Giudici speciali (nonché ai Magistrati del Pubblico Ministero presso le relative giurisdizioni) in forza del disposto di cui all’art. 108, comma 2 della Costituzione.


5.1. Le delineate coordinate ermeneutiche suggeriscono, inoltre, a questo Giudice, di rilevare un ulteriore profilo di infrazione costituzionale a carico delle denunciate norme, le quali oltre a confliggere con gli artt. 24 e 108, comma 2 della Costituzione, appaiono violare anche l’art. 3 e il principio di uguaglianza, posto che ai Magistrati ordinari, a seguito dell’intervento demolitivo di codesta sovrana Corte di cui alla sentenza n. 497/2000, deve ormai essere riconosciuto il diritto di farsi assistere da un avvocato del libero Foro se sottoposti a inchiesta disciplinare.


Ritiene infatti sul punto il remittente Collegio non potersi individuare e ravvisare superiori e preminenti ragioni di rango Costituzionale atte a legittimare la discriminazione dei Magistrati amministrativi e contabili, rispetto a quelli ordinari, che in forza delle sospettate norme si produce mercé la negazione ai primi del diritto di fruire dell’assistenza tecnica degli avvocati della libera Avvocatura, oggi che ai loro colleghi della Magistratura ordinaria il diritto in parola non può essere conculcato e misconosciuto.


Invero, non è chi non veda come il rispetto del sacrosanto principio di uguaglianza non tolleri che due ordini di Giudici, costituenti nel complesso il sistema unitario italiano della Giustizia, debbano essere trattati in maniera diseguale, a scapito dei Giudici amministrativi e contabili, i quali, peraltro, sono indipendenti da ogni altro potere dello Stato, al pari dei magistrati dell’ordine giudiziario e partecipano della stessa natura di figure istituzionali di primo livello, indipendenti e deputate all’interpretazione e concretizzazione del precetto normativo, distinguendosi solo per la diversità delle relative funzioni.


Vale la pena di segnalare che siffatte pacifica ermeneusi è stata di recente sposata e significativamente espressa dal T.A.R. Lazio, che ha avuto occasione di precisare che “a norma della Costituzione i magistrati, siano ordinari o amministrativi, si distinguono tra loro soltanto per la diversità delle funzioni giurisdizionali esercitate, il Consiglio di Stato e gli altri organi di Giustizia amministrativa esercitano la medesima funzione giurisdizionale “per la tutela nei confronti della p.a. Degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi” (T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 9.2.2004, n. 1206).


Per converso, ritiene opportuno il remittente Collegio cogliere l’occasione per prendere debitamente le distanze da quanto al riguardo affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la quale nel giudicare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 della L. n. 182/1986 che non prevede l’impugnabilità della decisione disciplinare assunta dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa davanti alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, ha avuto modo di motivare tale opzione esegetica affermando – infelicemente – che non sono “assimilabili, per garanzie di indipendenza e articolazione di carriera, i magistrati amministrativi a quelli ordinari” (Corte di Cass. Sez. Un, 29.9.2000, n. 1049).


Non può sul punto esimersi il remittente Collegio dal rimarcare l’assoluta assenza di supporti normativi e costituzionali di siffatta immotivata asserzione, la quale oltre ad essere destituita di fondamenti nel diritto positivo, appare anche insanabilmente confliggente con il chiaro ed ineludibile disposto dell’art. 108 della Costituzione che, come sopra più volte ricordato, scolpisce il principio dell’indipendenza quale insopprimibile valore che la Carta costituzionale attribuisce indubitevolmente ai Magistrati delle giurisdizioni speciali e che si confida venga posto in luce anche da codesta Consulta.


5.2. A tal riguardo non può non rammentare questo Giudice la pregnanza di un dato istituzionale e normativo, evidentemente trascurato dalle Sezioni Unite, costituente una delle più significative espressioni nonché la cartina di tornasole dell’indipendenza della Magistratura amministrativa e contabile. Ci si riferisce alla previsione dell’esistenza, per entrambe tali giurisdizioni speciali, di un organo di autogoverno, rappresentato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa per la prima e dall’omologo Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti per la seconda. Entrambi gli organismi svolgono le medesime funzioni (deliberazioni su assegnazioni delle sedi di servizio dei magistrati, trasferimenti, missioni, conferimento degli incarichi di presidenza delle sezioni interne e degli stessi Tribunali, autorizzazioni all’assunzioni di incarichi non rientranti nelle funzioni istituzionali, interpelli per il passaggio alle sezioni del Consiglio di Stato, procedimenti e provvedimenti disciplinari, trasferimenti per incompatibilità ambientale, interpelli per i trasferimenti a domanda, collocamenti fuori ruolo e riammissioni in servizio, etc.) assolte per la magistratura ordinaria dal Consiglio Superiore della Magistratura.


Orbene, non è chi non veda come il legislatore, istituendo per i giudici amministrativi e contabili un sistema di autogoverno o autodichia, affidato ad uno organismo interno alla stessa magistratura, quantunque integrato dalla presenza di taluni membri “laici”, e dotato di potere deliberativo sulle più rilevanti questioni attinenti allo svolgersi del rapporto di servizio dei magistrati, abbia inteso preservare al massimo e far risaltare anche all’esterno la caratteristica del’assoluta indipendenza di tali magistrature dagli altri poteri dello Stato – apparato.


L’indipendenza della magistratura contabile ed amministrativa è quindi oltre che sancita a livello della costituzione, anche assicurata e comprovata dall’esistenza dei un organo di autogoverno, che evidentemente è stato creato proprio in adempimento del più volte ricordato precetto costituzionale, che fa obbligo al legislatore ordinario di assicurare l’indipendenza delle giurisdizioni speciali.


6.1. In chiusura, mette conto svolgere qualche osservazione in ordine alla particolarità della fattispecie che ne occupa, caratterizzata dalla circostanza che ad essere sottoposto a procedimento disciplinare è non un qualunque funzionario statale, ma un Magistrato.


Non sfugge, invero, al remittente Collegio, che recentissimamente codesta sovrana Corte ha giudicato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 20, comma 2 del D.P.R. 25.10.1981, n. 737, omologa a quelle in queste sede denunciate, la quale, relativamente ai dipendenti della Polizia di Stato, inibisce all’incolpato di violazione disciplinare di farsi assistere da un avvocato, consentendogli di affidare la difesa unicamente ad altro dipendente dell’Amministrazione degli Interni appartenente ai ruoli della Polizia.


Ci si riferisce alla sentenza del 30 maggio 2008, n. 182 (Red. Cassese), con la quale codesto Giudice delle Leggi, nel dichiarare non fondata la prospettata questione, ha affermato che il diritto di difesa ex art. 24 Cost. Deve essere garantito nella sua massima espansione solo in caso di procedimenti giurisdizionali ma non anche relativamente ai procedimenti disciplinari, che hanno natura non giurisdizionale ma amministrativa (negli stessi sensi Corte Cost. n. 289/1992 e n. 122/1974).


Opina tuttavia il Collegio che, come dianzi accennato, la fattispecie odiernamente all’esame si connota per considerevoli profili differenziali rispetto a quella scrutinata dalla Corte Costituzionale con la sentenza appena citata.


E’ di immediata evidenza, infatti, la diversità sostanziale e funzionale dei due soggetti sottoposti a procedimento disciplinare: in un caso si tratta di un agente (o funzionario) di polizia, nell’altro di un Magistrato, amministrativo o contabile.


L’appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, pur essendo, al pari di un magistrato, un dipendente statale, non è titolare della prerogativa costituzionale dell’indipendenza dai poteri dello Stato e in specie dal potere esecutivo, dal quale anzi dipende, là dove caratteristica e qualità essenziale ed imprescindibile del magistrato è proprio l’indipendenza. E l’indipendenza, per i magistrati amministrativi e contabili deve essere sempre assicurata dal legislatore ordinario in forza dell’art. 108, coma 2 Cost. Come sopra ricordato.


Ma se, come codesta sovrana Corte ha evidenziato a proposito dei giudici ordinari nella sentenza n. 497/2000 demolitiva del’art. 34, comma 2 del R.D. Lgs. N. 511/1946, è proprio l’indipendenza ad imporre al legislatore di riconoscere al magistrato il diritto di scegliere il difensore tra gli avvocati del libero Foro, allora non può impedire di pervenire alla stessa conclusione relativamente ai magistrati amministrativi e contabili il precedente di cui alla citata sentenza n. 182/2008, ove solo si consideri la diversità dei soggetti sottoposti agli scrutinati procedimenti disciplinari e, cioè, la profonda differenza tra un magistrato ed un agente di polizia, posto che quest’ultimo non è dotato della prerogativa dell’indipendenza, la cui mancanza non impone in ogni caso di garantire la massima espansione del diritto di difesa mediante l’attribuzione della facoltà di nomina di un difensore del libero Foro.


Inoltre, va adeguatamente rimarcato che nella sentenza negativa del 2008 è stata codesta stessa Consulta a precisare che la scelta del legislatore di limitare ai soli dipendenti dell’amministrazione di appartenenza dell’incolpato i possibili soggetti eleggibili difensori non è irragionevole solo “in considerazione della funzione svolta (tutela dell’ordine pubblico)” dall’accusato.


Codesto supremo Giudice ha infatti avuto cura di precisare che “non può considerarsi manifestamente irragionevole la decisione del legislatore di consentire che l’accusato ricorra ad un difensore, ma di limitare, in considerazione della funzione svolta (tutela dell’ordine pubblico), la sua scelta ai dipendenti della stessa amministrazione” (Corte Cost., 30.5.2008, n. 182, p.3, capoverso 6).


La scelta riduttiva del legislatore si giustifica, quindi, nel pensiero di codesto supremo Consesso, unicamente in considerazione della funzione svolta dal dipendente accusato, che è quella di tutela dell’ordine pubblico.


Orbene, non è chi non veda che il magistrato contabile o amministrativo svolge una funzione del tutto diversa, che è quella di somministrare giustizia, fornendo la specificazione concreta e l’applicazione del precetto normativo e quindi fungendo, secondo le tramandate note prospettazioni illuministiche, da “bouche de la loi”.


6.2. Altro argomento, ancora, milita a sostegno della tesi secondo cui il precedente di cui alla sentenza n. 497/200 deve essere esteso e ribadito da codesta Consulta con riguardo all’incidente disciplinare e al relativo procedimento di cui siano vittime i magistrati contabili o amministrativi.


Argomento che si rinviene, ad attenta lettura, nella stessa motivazione della citata decisione del 2000 e che induce a reputare sovrapponibili le due fattispecie, ossia quella scrutinata con la sentenza n. 497/2000 e quella all’esame e conseguentemente a raggiungere le medesime conclusioni esegetiche e decisorie che hanno portato codesta sovrana Corte ad eliminare l’ostacolo legislativo al riconoscimento al magistrato incolpato del diritto di scegliere liberamente il suo difensore.


Ebbene, nel respingere la dedotta censura di infrazione del principio di uguaglianza argomentata sul rilievo che a differenza che nel procedimento disciplinare a carico degli agenti di polizia, in quello a carico dei magistrati vige ormai la regola delle libera scelta del difensore a seguito della sentenza n. 497/2000 pure invocata in quel caso dal giudice a quo, codesto supremo Consesso ha limpidamente osservato quanto segue: “In primo luogo, a differenza di quanto sostiene il giudice rimettente, le argomentazioni della Corte costituzionale formulate nella sentenza n. 497 del 2000 in relazione alla disciplina del procedimento a carico dei magistrati incolpati, prevista dall’art. 34 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), non sono affatto «sovrapponibili» alla decisione della questione in esame. Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, tale procedimento «si svolge secondo moduli giurisdizionali» (sentenza n. 145 del 1976) in base al principio costituzionale di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura sancito dall’art. 101 della Costituzione. Quindi, esso non è comparabile con il procedimento disciplinare degli altri settori della pubblica amministrazione (sentenza n. 289 del 1992).”(Corte Cost., 30.5.2008, n. 182, punto 3.2)


E’ allora evidente che se non giova invocare la sentenza n. 497/2000 per chiedere l’estensione delle relative conclusioni ai procedimenti disciplinari di altri settori della P.A., tuttavia dette conclusioni debbono essere viceversa estese ai procedimenti disciplinari delle magistrature speciali. Ciò in quanto codesta sovrana Corte, nel passo sopra riportato ha negato l’assimilazione del procedimento disciplinare a carico dei dipendenti della Polizia a quello a carico dei magistrati poiché quest’ultimo “procedimento «si svolge secondo moduli giurisdizionali» (sentenza n. 145 del 1976) in base al principio costituzionale di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura”.


Ebbene, anche il procedimento a carico dei Magistrati contabili ed amministrativi, pur avendo natura di procedimento amministrativo, tant’è che la decisione finale è devoluta alla cognizione del Giudice amministrativo, pur tuttavia si svolge secondo moduli giurisdizionali, “in base al principio costituzionale di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura”(in riferimento a quanto precisato al punto 3.2. della sentenza n. 182/2008 di codesta Consulta) e com’è confermato, tra l’altro, da tutta la sua impostazione normativa .


L’unica differenza è che per i Magistrati ordinari l’autonomia e l’indipendenza sono garantite dall’art. 101, mentre per quelli contabili e amministrativi dall’art. 108 della Costituzione.


Ed allora, posto che anche per i giudici contabili e amministrativi va perseguita e assicurata l’attuazione e la salvaguardia del “principio costituzionale di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura” in ossequio all’art. 108, comma 2 Cost., e se questa è la ragione per la quale con la sentenza n. 497/2000 codesta sovrana Corte ha eliminato l’ostacolo normativo che impediva al magistrato ordinario accusato di affidare l’ufficio difensivo a un avvocato del libero Foro, alla stessa decisione si dovrà pervenire relativamente ai magistrati contabili e amministrativi – non meno indipendenti di quelli ordinari in virtù dell’art. 108 Cost. - giudicando incostituzionali gli artt. 34, comma 2 della l. n. 186/1982 e 10, comma 9 della l. n. 117/1988 nella parte in cui vietano al magistrato amministrativo o contabile accusato di mancanza disciplinare di scegliere quale difensore tecnico un avvocato.


6.3. L’ultima ragione per la quale a parere del remittente Collegio codesta sovrana Corte dovrebbe raggiungere le medesime conclusioni cui è significativamente e condivisibilmente pervenuta con la sentenza n. 497/2000, riposa sul principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.


Come più sopra lumeggiato, infatti, posto che ormai, a seguito del più volte invocato intervento di codesta Consulta, i magistrati dell’ordine giudiziario si vedono riconosciuto il diritto di nominare, se sottoposti a inchiesta disciplinare, un avvocato della libera Avvocatura, intuitive ragioni di uguaglianza impongono di attribuire anche ai loro colleghi delle giurisdizioni contabile e amministrativa, la facoltà in parola, ove solo si consideri, oltretutto, che anche i magistrati contabili e amministrativi sono assistiti dalla prerogativa e godono dell’indefettibile valore dell’indipendenza ai sensi dell’art. 108 Cost., tant’è che è previsto anche per loro un sistema di autogoverno.


La suindicate norma regolante il procedimento disciplinare a carico dei Magistrati amministrativi, a cui rinvia la norma di cui all’art. 10, comma 9 della l. n. 117/1988 sull’azione disciplinare contro i Magistrati della Corte dei Conti, indubitata di infrazione costituzionale appare dunque al remittente Collegio in contrasto con gli articoli 108, 24, e 3 della Carta Costituzionale.


Sul fondamento delle argomentazioni che precedono ed alla stregua della rilevanza e della reputata non manifesta infondatezza della questione prospettata, si rimette la sua definizione alla Corte Costituzionale con sospensione del presente giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, Prima Sezione, letto l’art. 23 della L. 11.3.1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione


agli articoli 108, 24 e 3 della Costituzione e per contrasto con essi, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 34, comma 2 della legge 27 aprile 1982 , n. 186 e 10, comma 9 della l. 13 aprile 1988, n. 117 nella parte in cui vietano a un Magistrato contabile o amministrativo sottoposto a procedimento disciplinare di nominare quale difensore di fiducia un avvocato del libero Foro.


Sospende medio tempore il presente giudizio con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite.


Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.


Ordina che, a cura della Segreteria del Tribunale, la presente Ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.


Dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della conseguente pronuncia della Corte Costituzionale decorre il termine perentorio di mesi 6 per la riassunzione in questa sede del giudizio medio tempore con la presente Ordinanza sospeso.


Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del giorno 08/05/2008 con l’intervento dei Signori Magistrati:


Franco Bianchi, Presidente


Ivo Correale, Primo Referendario


Alfonso Graziano, Referendario, Estensore


DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 30/07/2008.