REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE DEI CONTI


Sezione Giurisdizionale per la regione Calabria


IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI


Ida Contino


Ha emesso la seguente:


SENTENZA n. 536/2008


Sul ricorso in materia di pensioni civili, iscritto al n. 12566 del registro di segreteria, proposto da G. L. B. elettivamente domiciliata in Catanzaro alla via De Filippis n 28 presso lo studio dell’avv. Domenico Sorace che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso per l’annullamento della nota n. 51559/2 del 23.05.2005 e la nota n. 6641/2 del 27.01.2005 dell’i.n.p.d.a.p.


Esaminati gli atti di causa


Uditi, alla pubblica udienza del 27 giugno 2008, l’avv. Domenico Sorace ed il rappresentante dell’Inpdap


Fatto


Con atto introduttivo del presente giudizio, la sig. G. titolare di trattamento pensionistico di reversibilità in compartecipazione con il proprio figlio, impugna gli atti indicati in epigrafe con i quali l’Inpdap ha disposto il recupero € 25.138,00 ( nota 51559/2 del 23 marzo 2005) nonché la determinazione 6641/2 che avrebbe ridotto il trattamento lordo della ricorrente al 60% ( 40% coniuge superstite + 20% figlio) .


A sostegno della propria doglianza la sig. G. eccepisce in via preliminare:


la nullità delle note impugnate in quanto l’ente previdenziale non pone in evidenza le diverse quote di compartecipazione;


la mancata osservanza delle disposizioni contenute nella l. 241/1990 in ordine alla comunicazione dell’avvio del procedimento;


la tardività dell’azione autotutoria dell’ente previdenziale;


Ne merito eccepisce la infondatezza della pretesa ripetizione a cagione, tra l’altro, della buona fede della percipiente.


Con memoria depositata agli atti il 16 settembre 2005, si è costituito l’Inpdap il quale, dopo avere riportato l’intera vicenda pensionistica della ricorrente a far data dal 1997, oppone la correttezza del proprio operato in quanto la riliquidazione del trattamento pensionistico sarebbe conseguenza dell’applicazione della tab. F dell’art. 1, comma 41 della l. 335/1995.


All’esito dell’udienza del 3 ottobre 2007, questo giudice disponeva un supplemento istruttorio a cura dell’I.n.p.d.a.p. Al fine di acquisire elementi necessari per la decisione.


L’amministrazione espletava l’istruttoria con la nota depositata il 9 gennaio 2008.


DIRITTO


La questione posta al vaglio del giudicante attiene esclusivamente alla ripetibilità delle maggiori somme indebitamente elargite dall’ente previdenziale alla ricorrente.


Occorre preliminarmente effettuare una ricostruzione dei fatti in considerazione dei molteplici provvedimenti emessi dall’I.n.p.d.a.p. Dal marzo 2004 sino al marzo 2005.


Dall’esame degli atti di causa emerge che la sig. G. gode, in compartecipazione con il figlio A. G. di trattamento pensionistico di reversibilità a far data dall’1.8.1997.


Con la sentenza n. 1163 del 30.12.2003, la Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Calabria ha riconosciuto alla pensionata il diritto all’indennità integrativa speciale per intero in base all’art. 2 della l. 324 del 1959.


Con la determinazione n. 66441/1 l’Inpdap riliquidava il trattamento della G. nella misura annua lorda di € 10.930,66 pari all’80% ( 60 % alla vedova 20% al figlio) della sola pensione diretta con l’indennità integrativa speciale come voce a se stante. Ne scaturiva un credito, pari ad € 12.851,41 per la vedova e pari ad € 1.636,64 per l’orfano, erogato con la rata mensile dell’aprile 2004.


Con la determinazione n. 6641/2 l’ente previdenziale provvedeva alla riliquidazione della pensione riducendola al 60%della pensione diretta di cui il 40% alla vedova ed il 20% all’orfano ai sensi dell’art. 88 del d.p.r. 1092/1973.


Dalle operazioni suddette è scaturito un debito della. G pari ad € 9.478,56 per come evidente dalla nota n. 51559/2 del 1 febbraio 2005.


Successivamente in data 23 marzo 2005 l’Inpdap, ritenendo di dover applicare la tabella f di cui alla l. 335 del 1995 rideterminava ancora una volta la pensione della ricorrente.


A decorrere dall’ 1.12.2001, infatti, venendo a cessare la quota parte dell’orfano per fine corso universitario ed in considerazione dei redditi percepiti dalla ricorrente nell’anno 2001, il trattamento pensionistico è stato ridotto al 50% della pensione diretta.


Di qui il provvedimento impugnato con il quale è stata chiesta la restituzione di €. 25.138,00 .


Come è noto la ripetibilità di somme pagate in eccesso dagli istituti previdenziali è regolata da principi giurisprudenziali di settore che in linea di massima escludono la restituzione dell’indebito allorquando l’erogazione non sia addebitabile al percipiente.


Ovviamente la differenza tra la disciplina previdenziale e quella privatistica, che prevede la incondizionata ripetibilità dell’indebito ( art. 2033 c.c.), scaturisce dalla necessità di contemperare l’esigenza dell’erario di recuperare quanto corrisposto in eccedenza con la necessità di evitare al pensionato modifiche inaspettate della situazione economica consolidata sulla quale abbia ovviamente posto un certo affidamento.


Proprio in considerazione della sopra richiamata esigenza è intervenuto il legislatore con la disposizione contenuta nell’art. 206 del T.U. n. 1092/1973, secondo la quale: “nei casi in cui, in conseguenza del provvedimento revocato o modificato, siano state riscosse rate di pensione o di assegno ovvero indennità risultate non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato”.


La suddetta disposizione tuttavia, che è stata oggetto di interpretazione autentica con l’art. 3 della l. 428/85 (il quale ha esteso la portata dell’art. 206 anche alle ipotesi in cui, verificandosi le condizioni stabilite dall’art. 204 e 205 dello stesso testo unico, il provvedimento definitivo di concessione e riliquidazione della pensione, assegno o indennità venga modificato o revocato con altro provvedimento formale soggetto a registrazione), riguarda gli indebiti conseguenti a revoca o modifica nei casi disciplinati dai precedenti art. 203,204,205 del T.U. 1093/73.


Ciò nondimeno, secondo un costante e prevalente orientamento giurisprudenziale, il disposto contenuto nella predetta norma configura un principio generale e quindi valido per tutte le fattispecie di indebito pensionistico non disciplinate da norme specifiche, e purché in presenza di taluni presupposti tra i quali l’assenza di dolo nella condotta del pensionato.


Peraltro sempre con più vigore la giurisprudenza contabile ha posto l’accento sulla ragionevolezza dell’ affidamento, sulla circostanza che le somme riscosse, sebbene indebite, siano state utilizzate dal pensionato per soddisfare i bisogni primari della vita, sul grave pregiudizio economico che scaturisce dal provvedimento di recupero, sicché, anche con riferimento al trattamento provvisorio – puntualmente disciplinato dall’art. 162 del d.p.r. 1092/1973, si è oramai, in linea di massima, determinata ad escludere la ripetizione di somme erogate in eccesso quando il trattamento definitivo interviene oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento amministrativo proprio a cagione della tutela dell’affidamento del pensionato ( Corte dei conti SS.RR. n. 7/2008) .


Or questo giudice, ritenendo di condividere la giurisprudenza innanzi richiamata, evidenzia che nella fattispecie in esame sussistono tutti i presupposti per non dar luogo alla ripetizione


L’amministrazione previdenziale, infatti, era nella condizioni di conoscere sin dall’inizio tutte le condizioni relative alla quantificazione della pensione: il reddito della pensionata, la data di scadenza del diritto del figlio alla compartecipazione, l’art. 88 del d.p.r. 1092/1973, la tab. F della l 335/1995.


Ciò nonostante ha provveduto con ritardo, determinando così un indebito cospicuo, pari appunto ad € 25.138,00 il cui recupero indubbiamente va ad incidere rovinosamente sulla condizione di vita della pensionata.


Peraltro la sig.ra G. ha sempre trasmesso all’ente previdenziale gli atti relativi alla compartecipazione.


Non solo: il lungo lasso di tempo ( sin dal 1997) intercorso tra la liquidazione del trattamento pensionistico ed il provvedimento di recupero ( circa sette anni) hanno sicuramente fatto sorgere nella percipiente la ragionevole opinione di avere diritto alla pensione effettivamente erogata.


Né vale al riguardo quanto eccepito dall’I.n.p.d.a.p. In ordine alla sentenza n. 1163/2003.


Si consideri in proposito che, eventualmente, la rideterminazione della pensione con il calcolo dell’i.i.s. Può avere inciso in parte e, comunque, la ripetizione che consegue ad una modifica di trattamento pensionistico è preclusa dall’art. 206 del d.p.r. 1092/1973; ancora dalla pubblicazione della sentenza al provvedimento di recupero sono trascorsi un anno e tre mesi.


Alla luce di tutto quanto sin qui esposto il giudice accoglie il ricorso e per l’effetto dichiara l’irripetibilità delle somme erogate in eccesso dall’ente previdenziale.


Condanna l’amministrazione alla restituzione di quanto eventualmente ripetuto; su tali somme non saranno corrisposti interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi comunque di somme indebitamente percepite e solo dichiarate irripetibili.


P.Q.M.


La Corte dei conti , Sezione giurisdizionale per la regione Calabria, il giudice unico delle pensioni definitivamente pronunciando


ACCOGLIE


Il ricorso e per l’effetto dichiara l’irripetibilità delle somme erogate in eccesso dall’ente previdenziale. Condanna l’amministrazione alla restituzione di quanto eventualmente ripetuto; su tali somme non saranno corrisposti interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi comunque di somme indebitamente percepite e solo dichiarate irripetibili. Compensa le spese.


Così deciso in camera di consiglio del 27 giugno 2008.


Il giudice


f.to Ida Contino



Depositata in segreteria il 08/07/2008



Il dirigente


f.to Dott. Maurizio Arlacchi