Per la Corte Ue è illegittimo subordinare la concessione del congedo parentale allo svolgimento di un lavoro al momento della nascita

Congedo parentale UE: quando spetta?

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La Corte di Giustizia dell'unione Europea nella sentenza del 25 febbraio 2021 (sotto allegata) dichiara legittima la condizione che richiede, ai fini del riconoscimento del congedo parentale, una certa anzianità lavorativa, mentre ritiene illegittima quella che richiede lo status di lavoratore al momento della nascita del figlio. Vediamo per quali ragioni la CGUE è giunta a questa conclusione.

La madre di due gemelli ricorre alla Cassa per il Futuro dei Minori del Lussemburgo, che rigetta la domanda della donna finalizzata a ottenere il congedo parentale per occuparsi dei suoi bambini, in quanto al momento della loro nascita la stessa non lavorava. Da qui l'avvio del procedimento che conduce alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, a cui si chiede la corretta interpretazione di alcune clausole dell'accordo quadro sul congedo parentale, allegato alla direttiva 96/34/CE del Consiglio e concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES.

L'accordo quadro UE sul congedo parentale

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La clausola 2 di detto accordo, come riportato in sentenza riconosce "ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale

per la nascita o l'adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un'età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali. Le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale sono definite dalla legge e/o dai contratti collettivi negli Stati membri, nel rispetto delle prescrizioni minime del presente accordo. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono in particolare: (…) b) subordinare il diritto al congedo parentale ad una determinata anzianità lavorativa e/o aziendale che non può superare un anno."

La clausola 3 dell'Accordo, come riveduto, prevede inoltre, sempre in relazione al periodo di congedo che: "le parti sociali assicurano che in caso di più contratti a tempo determinato, quale definito nella direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul tempo determinato, presso lo stesso datore di lavoro occorre tener conto della durata complessiva di tali contratti per il calcolo dell'anzianità."

Precisazione importante visto che la donna il 15 settembre 2011 stipula un contratto di prestazione di servizi a tempo determinato per l'esecuzione dell'incarico di docente della scuola secondaria con scadenza il 26 gennaio 2012. Il 26 gennaio 2012, scaduto il precedente contratto di lavoro a tempo determinato, viene cancellata l'iscrizione presso gli enti previdenziali e viene iscritta dal suo compagno, in qualità di funzionario statale, al regime di coassicurazione. Il 4 marzo 2012, nel periodo in cui è disoccupata, ha due gemelli e il 14 giugno 2012 viene ammessa a beneficiare dell'indennità di disoccupazione e quindi iscritta nuovamente presso gli enti previdenziali. Il 15 settembre 2012 e 1° agosto 2013, la donna ottiene due contratti di prestazione di servizi a tempo determinato come docente della scuola secondaria e finalmente il 15 settembre 2014 sottoscrive un contratto a tempo indeterminato per la stessa attività d'insegnamento. L'11 marzo 2015 presenta quindi domanda di congedo parentale con indicazione della data d'inizio fissata al 15 settembre 2015.

Il diritto al congedo parentale in Lussemburgo

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Peccato che per il diritto del Lussemburgo il diritto al congedo spetta al genitore solo a determinate condizioni, ovvero se "al momento della nascita o dell'accoglienza del figlio o dei figli adottandi, occupi legalmente un posto di lavoro nel territorio del Granducato di Lussemburgo, occupazione esercitata senza soluzione di continuità per almeno dodici mesi consecutivi direttamente precedenti l'inizio del congedo parentale, presso la stessa amministrazione pubblica o lo stesso ente pubblico per una durata mensile dell'orario di lavoro pari almeno alla metà della durata normale dell'orario di lavoro applicabile per legge, e che sia titolare di tale titolo durante tutto il periodo del congedo parentale; sia iscritto obbligatoriamente e continuativamente al sistema previdenziale."

La domanda di congedo della donna viene quindi respinta dalla Cassa per il futuro dei minori, ma lei la impugna davanti alla Cassa nazionale delle prestazioni familiari, che però conferma la decisione precedente. Decisione che la donna impugna ancora davanti al Consiglio arbitrale per la previdenza sociale, che riforma la decisione, impugnata ancora davanti al giudice del rinvio, fino a quando la Corte di Cassazione sospende il procedimento e sottopone alla Corte di Giustizia Europea la seguente questione pregiudiziale: "se le clausole 1.1, 1.2, e 2.1, nonché la clausola 2.3, lettera b), dell'accordo quadro (…) attuato dalla direttiva 96/34 debbano essere interpretate nel senso che esse ostano all'applicazione di una disposizione di diritto nazionale, quale l'articolo 29 bis della legge del 16 aprile 1979 (...), che subordina la concessione del congedo parentale alla duplice condizione che il lavoratore occupi legalmente un posto di lavoro e sia iscritto a tale titolo alla previdenza sociale, da un lato, senza interruzione per almeno dodici mesi consecutivi immediatamente precedenti l'inizio del congedo parentale e, dall'altro, al momento della nascita o dell'accoglienza del figlio o dei figli adottivi, essendo richiesto il rispetto di tale seconda condizione anche qualora la nascita o l'adozione sia avvenuta più di dodici mesi prima dell'inizio del congedo parentale."

Illegittimo chiedere che il lavoratore sia occupato alla nascita

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La Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 25 febbraio 2021 chiarisce che tra le due condizioni richieste dallo Stato del Lussemburgo per la concessione del diritto al congedo, è legittima quella che chiede una certa anzianità lavorativa, mentre è illegittima quella che richiede la condizione dell'essere impiegato al momento della nascita perché in questo caso "Escludere i genitori che non lavoravano al momento della nascita o dell'adozione del proprio figlio equivarrebbe a limitare il diritto di detti genitori alla possibilità di fruire di un congedo parentale in un momento successivo della loro vita in cui svolgono nuovamente un'attività lavorativa e del quale avrebbero bisogno per conciliare le loro responsabilità familiari e professionali. Una siffatta esclusione sarebbe pertanto contraria al diritto individuale di ciascun lavoratore di disporre di un congedo parentale."

Scarica pdf CGUE causa C-121-19 sentenza 25 febbraio 2021

Foto: 123rf.com
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