Il divieto di formulare domande suggestive al teste non vale solo per chi ne ha richiesto la citazione, ma anche per il giudice

di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 15331/2020 (sotto allegata) la Cassazione accoglie il ricorso dell'imputato, che ha messo in dubbio l'attendibilità della persona offesa e le modalità con cui è stato condotto l'esame della stessa. Per gli Ermellini, nel caso di specie, il Giudice Consigliere che ha condotto l'esame ha in effetti rivolto alla persona offesa domande dal contenuto suggestivo e manipolatorio finalizzate a ottenere risposte in linea con il pensiero e la tesi dell'interrogante. Deve tuttavia ritenersi che i divieti contenuti nell'art 499 c.p.p, che contiene le regole per l'esame testimoniale, debbano applicarsi non solo al soggetto che ha chiesto la citazione della teste, ma anche al giudice, deputato in quanto tale a garantire la genuinità della deposizione.

Atti di violenza sessuale con minorenne e violenza sessuale

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Il Tribunale condanna l'imputato per il reato di atti sessuali con minorenne commesso in danno di una compagna di scuola della figlia per fatti commessi nel 2009, assolvendolo per quelli posti in essere nel 2010, quando la ragazzina aveva già compiuto i 14 anni di età.

La Corte d'Appello invece lo condanna anche per violenza sessuale commessa nei confronti della minore già quattordicenne. Costui è infatti accusato di averle preso la mano e di averla tenuta ferma sui propri genitali. Pena complessiva: 4 anni di reclusione.

La Cassazione investita del ricorso annulla la sentenza d'Appello ritenendo di doversi procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei confronti della persona offesa, per valutarne l'attendibilità.

La Corte d'Appello in sede di rinvio dichiara l'imputato colpevole del reato di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis c.p., condannandolo alla pena di tre anni di reclusione con revoca della sospensione condizionale concessa in primo grado.

Valutazione testimonianza persona offesa

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  • Avverso la sentenza di rinvio ricorre l'imputato censurando con il primo motivo le "modalità di assunzione e valutazione della testimonianza resa dalla persona offesa". L'imputato rileva come l'ascolto della persona offesa si è realizzato con domande suggestive poste dal consigliere relatore, che hanno minato la credibilità della teste.
  • Con il secondo motivo invece contesta la motivazione della Corte, che il ricorrente ritiene non rafforzata perché non ha evidenziato le ragioni per le quali è giunta a conclusioni diverse rispetto al giudice di primo grado, soprattutto in relazione alla consapevolezza dell'imputato del dissenso della persona offesa.

Vietato al giudice formulare al teste domande suggestive o manipolatorie

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La Cassazione, con sentenza n. 15331/2020 annulla il provvedimento impugnato, rinviando per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello per le seguenti ragioni.

Per comprendere la fondatezza del ricorso dell'imputato la Corte richiama soprattutto l'art. 499 c.p che detta le regole relative all'esame del testimone disponendo che "il giudice deve vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (comma 2), vietare alla parte che ha addotto il teste o che ha un interesse comune colo lo stesso di formulare le domande in modo da suggerirgli le risposte (comma 3); assicurare durante l'esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni (comma 6)."

Gli Ermellini ribadiscono "il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, nel duplice senso delle domande "suggestive" (…) che tendono a suggerire la risposta al teste, ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall'esaminatore, anche attraverso una semplice conferma - e delle domande nocive - finalizzate a manipolare il teste, fuorviandone la memoria, perché gli forniscono informazioni errate e falsi presupposti tali da minare la stessa genuinità della risposta è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione al teste ...". Divieto che a maggior ragione vale anche per il giudice, che deve assicurare la genuinità della risposta. L'inosservanza di questo divieto per assicurare la sincerità e la genuinità delle risposte del teste rende la prova non genuina e quindi poco attendibile.

Ora, nel caso di specie, le domande rivolte dal consigliere alla testimone presentano elementi di suggestività, ma anche di nocività, perché hanno un contenuto assertivo finalizzato a indirizzare la persona offesa verso la conferma di quanto già affermato dall'interrogante.

La teste infatti nel corso dell'esame si è limitata ad assecondare il giudice che l'ha interrogata. Per cui è da condividere l'assunto dell'imputato che ritiene le dichiarazioni rese dalla persona offesa come non del tutto attendibili. Ne consegue la fondatezza della seconda doglianza, che resta assorbita, poiché la sentenza impugnata non indica nello specifico per quali ragioni si discosta dalla decisione del primo giudice.

Leggi anche:

- L'esame del testimone

- L'esame testimoniale nel processo penale

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