In tema di sanzioni disciplinari è fondamentale il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell'infrazione che impone al giudice di tener conto, non solo delle circostanze oggettive ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore incidendo queste ultime sulla determinazione della gravità della trasgressione e sulla conseguente legittimità della sanzione. Ribadendo tale principio la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7021 del 25 marzo 2011, ha rigettato il ricorso di una società che aveva licenziato un proprio dipendente per aver svolto, durante l'aspettativa
parentale di cui all'art. 4, L. n. 53 del 2000, attività lavorativa per quattro giorni alle dipendenze di altra società. Sia il Giudice di prime cure che il Giudice d'appello avevano riconosciuto l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore, così la società proponeva ricorso in Cassazione deducendo che in caso di aspettativa per motivi familiari, l'articolo 4, comma 2 della L. n. 53/2000, prevede lo specifico divieto di svolgere attività lavorative e che lo svolgimento di attività lavorativa, in concorrenza con quella svolta dal datore di lavoro, ledeva gravemente l'obbligo di fedeltà giustificando il licenziamento per giusta causa
. I Giudici di legittimità osservano che "non v'è dubbio che l'espresso divieto di svolgere qualsivoglia attività lavorativa da parte del dipendente fruitore di congedo familiare rende inapplicabile, anche in via analogica, i principi circa l'astratta possibilità di svolgere altra attività lavorativa da parte del dipendente ammalato, ma non consente tuttavia di ritenere per sé illegittimo, e tale da giustificare la sanzione espulsiva, il comportamento del lavoratore sol per averlo contravvenuto". La Suprema Corte ritiene sorretta da adeguata e logica motivazione la decisione della Corte territoriale in merito alla valutazione dell'elemento psicologico (attenuato in considerazione della necessità di percepire una retribuzione, esclusa nell'aspettativa parentale), della sporadicità dell'attività lavorativa (quattro giornate in relazione ad un periodo di aspettativa
di due mesi) e della non violazione dell'obbligo di fedeltà ( l'attività svolta non rientra in qualificate "prestazioni connotate dall'utilizzo del bagaglio professionale acquisito con il datore di lavoro"). Considerato nella sua globalità, il comportamento del dipendente non è tale da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario o da concretare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.

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