La Corte Costituzionale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 27, comma 4, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), "nella parte in cui prevede che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto possa essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo". Viene dato modo così, a chi non abbia avuto la possibilità, nelle prime fasi del processo, di beneficiare del proscioglimento per irrilevanza del fatto, di potersene giovare nella fase dibattimentale.

La Consulta ha così motivato:
"Nell'originaria formulazione dell'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988 il proscioglimento dell'imputato minorenne per irrilevanza del fatto era previsto solo nel corso delle indagini preliminari. L'art. 32 del medesimo testo di legge prevedeva poi che la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto poteva essere pronunciata anche nell'udienza preliminare. Dichiarate illegittime entrambe le norme per eccesso di delega con la sentenza n. 250 del 1991, l'irrilevanza del fatto venne reintrodotta dalla legge 5 febbraio 1992, n. 123, che, nel riformulare l'art. 27, inserì nel comma 4 la previsione che la sentenza
con tale formula può essere pronunciata anche nell'udienza preliminare, nonché nel giudizio direttissimo e nel giudizio immediato. La medesima legge provvedeva inoltre a ripristinare, con alcune modifiche formali, il testo originario dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988. Sia la normativa transitoria del d.P.R. n. 448 del 1988, sia quella prevista in occasione dell'entrata in vigore della legge n. 123 del 1992, estendevano la possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto in ogni stato e grado nell'ambito dei procedimenti pendenti all'entrata in vigore dei rispettivi testi di legge. L'iter legislativo della disciplina del proscioglimento per irrilevanza del fatto risulta dunque caratterizzato dall'originaria volontà del legislatore di circoscrivere l'operatività dell'istituto alle fasi delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, poi estesa dalla legge n. 123 del 1992, mediante la previsione del comma 4 dell'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, alle ipotesi del giudizio direttissimo e del giudizio immediato, cioè alle situazioni in cui nel procedimento minorile l'imputato
, dopo che nei suoi confronti è stata esercitata l'azione penale, ha il primo contatto con il giudice. Tale volontà trova conferma nella disciplina transitoria, cui sopra si è fatto cenno, che ha eccezionalmente previsto la possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto in ogni stato e grado del procedimento. Da ultimo, l'art. 22 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (a sua volta anticipato dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, convertito con modificazioni nella legge 25 febbraio 2000, n. 35), sostituendo integralmente il comma 1 dell'art. 32 del d.P.R. n. 448 del 1988, ha subordinato, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, la pronuncia nell'udienza preliminare della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (nonché nei casi previsti dall'art. 425 cod. proc. pen. e per concessione del perdono giudiziale) al consenso dell'imputato a che il processo sia definito in quella fase. Il nuovo testo dell'art. 32, comma 1, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte con sentenza n. 195 del 2002, nella parte in cui, in mancanza del consenso dell'imputato, preclude al giudice di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità. Come emerge anche dai cenni al proscioglimento per irrilevanza del fatto contenuti nella relazione al progetto preliminare delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, il legislatore delegato, in attuazione del criterio generale enunciato nell'alinea dell'art. 3 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, ha ritenuto corrispondente alle esigenze dell'educazione del minore una disciplina che privilegiasse la sua rapida fuoriuscita dal processo, non oltre il primo contatto con il giudice successivo all'esercizio dell'azione penale. Questa impostazione è stata sostanzialmente confermata dal legislatore del 1992, che, nel reintrodurre la disposizione che preclude in via generale di fare applicazione dell'istituto in dibattimento, ha previsto quali uniche eccezioni il giudizio direttissimo e il giudizio immediato, ipotesi caratterizzate entrambe dalla mancanza dell'udienza preliminare. La scelta così operata sembra peraltro porsi in contraddizione con la peculiare natura del proscioglimento per irrilevanza del fatto e con la funzione di favore svolta da tale pronuncia rispetto ad altre formule di proscioglimento tipiche del procedimento minorile. In primo luogo, i presupposti sostanziali dell'istituto (tenuità del fatto e occasionalità del comportamento), variamente definito come causa oggettiva di esclusione della pena o causa di esclusione della punibilità (v. in particolare la sentenza n. 250 del 1991, ove l'irrilevanza del fatto, di cui è affermata la pertinenza al diritto sostanziale, è qualificata come causa di non punibilità), e l'esigenza di assicurarne le più ampie possibilità di accertamento rendono priva di ragionevole giustificazione una disciplina che ne limita l'operatività alle fasi iniziali del procedimento. D'altro canto, alla luce dell'art. 31, secondo comma, Cost. e dei principi enunciati nelle Convenzioni, nelle Regole e nelle Raccomandazioni internazionali in materia, a cui questa Corte si è ripetutamente richiamata (tra le tante, v. sentenze n. 195 del 2002, n. 433 del 1997, n. 250 del 1991), la tutela del preminente interesse del minore non può essere fatta meccanicisticamente coincidere con la sua immediata fuoruscita dal procedimento, ma richiede che l'estromissione "la più possibile sollecita" (cfr. sentenza n. 250 del 1991) dal circuito processuale non sacrifichi l'esigenza di "garantire al minore le più complete opportunità difensive connesse alla formazione della prova in dibattimento" (cfr. sentenza n. 195 del 2002, che a sua volta richiama la sentenza n. 77 del 1993). L'obiettivo di una rapida fuoruscita del minorenne dal circuito processuale non esclude cioè che debba comunque essere adottata la decisione a lui più favorevole, ponendolo nelle condizioni di ottenere, ove ne sussistano i presupposti, la formula di proscioglimento più adeguata alla natura del fatto contestato e ai profili soggettivi del suo comportamento. La disciplina censurata non contempera tali esigenze, posto che, se gli elementi di fatto e le circostanze idonei a dimostrare la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento emergono solo in dibattimento, o se l'imputato non ha potuto beneficiare del proscioglimento per irrilevanza del fatto nell'udienza preliminare, l'unica alternativa alla pronuncia di una sentenza di condanna è, come emblematicamente dimostrato dalla vicenda oggetto del giudizio a quo, il proscioglimento dibattimentale per concessione del perdono giudiziale. Ma tale esito, che presuppone un'affermazione di colpevolezza, realizza un livello di tutela dell'imputato minorenne certamente inferiore rispetto a quello assicurato dal proscioglimento per irrilevanza del fatto, i cui effetti processuali e sostanziali sono di gran lunga più favorevoli. Deve quindi essere dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e 31, secondo comma, Cost., l'illegittimità costituzionale dell'art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui prevede che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto possa essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo".


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