Prima di convalidare l'espulsione, il giudice di pace deve accertarsi che lo straniero non sia perseguitato nel suo paese. È questo il principio di diritto emesso dalla prima sezione civile del Palazzaccio (n. 3898 del 17 febbraio 2011) che, accogliendo il ricorso di un cittadino straniero, verso cui era stato emesso un provvedimento di espulsione, ha stabilito che il giudice di pace non si può non tener conto l'eventuale pericolo di persecuzione a cui andrebbe incontro lo straniero espulso dal nostro Paese. Secondo quanto si apprende dalla vicenda, il giudice di pace
rigettava il ricorso proposto dallo straniero avverso il provvedimento di espulsione del Prefetto di Roma. L'uomo proponeva pertanto ricorso per cassazione. A riguardo il ricorrente citava la direttiva 2004/83/CE del Consiglio d'Europa del 29 aprile secondo cui le condizioni ed i requisiti oggettivi e soggettivi per l'attribuzione della cosiddetta protezione internazionale, (la quale ha un ambito di applicazione distinto e separato dalla normativa convenzionale del rifugio) impone agli Stati membri l'adozione di tutte le misure amministrative, legislative e giurisdizionali idonee ad evitare che soggetti bisognosi di protezione internazionale siano nuovamente immessi in contesti di elevato pericolo personale. Di conseguenza - ha continuato a sostenere il ricorrente - ai fini dell'operatività del divieto di espulsione per il pericolo di persecuzione, è imprescindibile un rigoroso esame del materiale probatorio teso al raggiungimento della piena prova in ordine alla condizione personale del soggetto. Secondo il ricorrente invece, il giudice di pace
avrebbe omesso di accertare se la sua presenza nel territorio italiano trovava titolo nella previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. 286/1998. pertanto il giudice di pace avrebbe abdicato alla propria funzione di accertamento della situazione di fatto invocata, limitandosi ad una valutazione meramente formale del provvedimento impugnato. La Cassazione, accogliendo i motivi di ricorso proposti dallo straniero ha spiegato che "l'art. 19, comma 1, del d.lgs. 286/1998 dispone che "in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione". A tale riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U., 2009/19393), con orientamento che il collegio condivide e a cui intende dare continuità, hanno affermato che "la situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari… gode quanto meno della garanzia costituzionale di cui all'art. 2 Cost. sulla base della quale, anche ad ammettere, sul piano generale, la possibilità di bilanciamento con altre situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate…" deve escludersi "… che tale bilanciamento possa essere rimesso al potere discrezionale della pubblica amministrazione, potendo eventualmente essere effettuato solo dal legislatore, nel rispetto dei limiti costituzionali".

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