La Corte Costituzionale, con sentenza n. 310 del 5 novembre 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1, del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro), come sostituito dall'art. 11, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, "nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale previsti dalla citata norma non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), esclude l'applicazione ai medesimi provvedimenti dell'art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990." Il giudizio di costituzionalità è stato sollevato dal TAR Liguria, chiamato a pronunciare in un giudizio amministrativo promosso dal titolare di una ditta individuale avente ad oggetto la produzione e la vendita
di pizze da asporto, nei confronti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale per l'annullamento del provvedimento, adottato dalla DPL di Genova, con cui veniva disposta la sospensione dell'attività imprenditoriale, essendo risultato l'impiego di due fattorini addetti al recapito delle pizze (pari al 66 per cento del totale dei lavoratori presenti sul posto di lavoro), non emergenti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria. Il giudice amministrativo sottolinea che, come sostenuto dal titolare della ditta, venivano esibiti agli ispettori del lavoro copie dei contratti di collaborazione autonoma e occasionale conclusi con i due fattorini e che, malgrado ciò, il provvedimento di sospensione veniva adottato in totale assenza di motivazione - benché questa fosse necessaria avuto riguardo al carattere discrezionale del provvedimento ed alla volontà manifestata dalle parti in ordine all'inesistenza del vincolo di subordinazione. La disposizione censurata, prosegue il TAR, statuendo che ai provvedimenti dell'art. 14 "non si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241", verrebbe a sottrarre i provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale all'obbligo generale di motivazione e, dovendo trovare applicazione nella fattispecie, impedirebbe al tribunale di conoscere della relativa censura.
Contrariamente, la difesa dello Stato sostiene che la normativa censurata "sarebbe diretta al rispetto delle esigenze di celerità e di non aggravamento del procedimento, con prevalenza dell'interesse pubblico primario tutelato dall'art. 97 Cost., avuto riguardo alla particolare finalità della disposizione, per la quale si sarebbe reso necessario escludere l'applicabilità della legge n. 241 del 1990 allo scopo di evitare che il provvedimento di sospensione sia adottato soltanto all'esito del procedimento sanzionatorio." La Consulta, confermando la fondatezza dei dubbi di costituzionalità, precisa che "la giusta e doverosa finalità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, non è in alcun modo compromessa dall'esigenza che l'amministrazione procedente dia conto, con apposita motivazione, dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che ne hanno determinato la decisione, con riferimento alle risultanze dell'istruttoria". Inoltre "l'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi, previsto dall'art. 3 della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni, è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell'azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d'imparzialità dell'amministrazione e, dall'altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale."

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