La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 265 del 2010 ha stabilito che la legge n. 11 del 2009 è costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3 Cost, nella parte in cui prevede l'obbligatorietà della misura cautelare in carcere quando sussistono gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati per reati sessuali, senza prevedere la possibilità di scelta di un'altra misura cautelare alternativa al carcere, in riferimento al caso concreto. In sostanza, dopo la decisione della Consulta il giudice potrà scegliere quale misura cautelare applicare (carcere o altre misure cautelari), non essendo più vincolato al dettato della legge n.11 del 2009, la quale aveva reso obbligatorio l'applicazione di quel tipo di misura cautelare (carcere preventivo) da applicare agli indagati per i reati sessuali (ma anche per gli indagati per atti sessuali con minori e induzione o sfruttamento della prostituzione minorile). La questione di legittimità costituzionale
era stata sollevata dal giudice per le indagini preliminari di Belluno e Venezia e dal Tribunale del Riesame di Torino. La Corte nell'accogliere l'eccezione di incostituzionalità ha precisato che la caratteristica fondamentale delle misure cautelari, in conformità al disegno costituzionale, risiede nel non "non prevedere automatismi nè presunzioni", per far si che "le condizioni e i presupposti per l'applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta". La Consulta ha spiegato che per quanto tali delitti possano essere "odiosi e riprovevoli" sono meramente individuali e tali "da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la massima misura".

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