Con la sentenza n. 19933/2010 la Cassazione ha scandito i contorni normativi della regola che stabilisce che la condanna deve avvenire "al di là di ogni ragionevole dubbio", principio positivizzato nell'art. 533 del codice di procedura
Con la sentenza n. 19933 la Corte di Cassazione ha scandito i contorni normativi della regola che stabilisce che la condanna deve avvenire "al di là di ogni ragionevole dubbio", principio positivizzato nell'art. 533 del codice di procedura, modificato dall'art. 5 della legge n. 46 del 2006: deve infatti essere ribadito, secondo il giudizio della Prima Sezione penale, il principio secondo cui la condanna deve essere pronunciata "al di là di ogni ragionevole dubbio", lasciando da parte solo eventualità remote, la cui realizzazione concreta non trova neanche il benché minimo riscontro. Nel caso di specie, la sentenza
è l'esito del ricorso di un imputato, condannato in secondo grado per tentato omicidio: in Cassazione, il ricorrente aveva eccepito che, la sentenza impugnata andava a violare i "canoni di valutazione probatoria e della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio nella valutazione degli elementi posti a base dell'affermazione di penale responsabilità". La Corte, ha spiegato che "la regola dell' "oltre il ragionevole dubbio" formalizzata nell'art. 533 c.p.p., primo comma, c.p.p., come sostituito dall'art. 5 della 1. n. 46 del 2006, impone di pronunciare condanna, quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie concreta non trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana.
11 procedimento logico, invero non dissimile dalla sequenza del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192, secondo comma, c.p.p. - il cui nucleo essenziale è già racchiuso, peraltro, nella regola stabilita per la valutazione della prova in generale dal primo comma della medesima disposizione, nonché in quella della doverosa ponderazione delle ipotesi antagoniste prescritta dall'art. 546, primo comma lett. e), c.p.p. - deve condurre alla conclusione caratterizzata da un alto grado di razionalità razionale, quindi alla "certezza processuale" che, esclusa l'interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all'agente come fatto proprio". La sesta sezione penale ha specificato (citando una sentenza, Cass. 2 marzo, 1992, n. 3424, rv.7) che il tipo di prova indiziaria è quella che consente di ricostruire il fatto, in termini di certezza tali da escludere ogni altra soluzione ma non "la più astratta e remota possibilità" che la realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita in base agli indizi disponibili.
Pertanto, la regola "dell'oltre ragionevole dubbio," pretende percorsi motivati da alta probabilità logica in termini di certezza processuale per "essendo indiscutibile che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova". La Corte conclude poi facendo una lista di elementi indefettibili per la valutazione delle prove: secondo il giudizio dei giudici di legittimità, per valutare le prove si deve avere ben presente innanzitutto la "presunzione di innocenza dell'imputato, regola probatoria e di giudizio collegata alla struttura del processo e alle metodiche di accertamento del fatto"; l'Onere della prova deve sempre essere a carico dell'accusa; la regola di giudizio stabilita per la sentenza di assoluzione in caso di "insufficienza", "contraddittorietà" e "incertezza" della prova d'accusa (art. 530, commi secondo e terzo, c.p.p.), secondo il classico canone di garanzia in dubio pro reo. Infine, è obbligatorio l'obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie e della necessaria giustificazione razionale delle stesse".

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