La Suprema Corte, con sentenza 18376/2009 della sezione lavoro chiarisce che un patto che limiti la facoltà del dipendente di recedere dal rapporto non è nullo per contrarietà a norme imperative, poiché non vi è alcun principio o norma dell'ordinamento che legittimi tale conclusione. Rifacendosi ad un previo orientamento consolidato ( Cass. 17817/2005 e 1435/1998), stabilisce che nessun limite è posto dalla legge all'autonomia privata, quindi il lavoratore subordinato può liberamente disporre (come del resto avviene per la pretesa alla prosecuzione del rapporto, nell'ipotesi i recesso della controparte, Cassa. n. 2721/1981) pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto, che comporti, fuori dell'ipotesi di giusta causa di recesso di cui all'art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del periodo minimo di durata del rapporto. Inoltre la validità della menzionata clausola non è necessariamente soggetta ad un'approvazione specifica per iscritto delle parti, poiché non rientra in alcuna delle ipotesi di cui all'art. 1341, comma 2, c.c., in tema di condizioni generali di contratto

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