La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 37107/2009) ha stabilito che il manager che distrae denaro dall'impresa anche se solo virtualmente, risponde del reato di bancarotta fraudolenta. Osservano infatti gli Ermellini che alla linea difensiva che sosteneva la virtualità dei pagamenti, "è agevole contrapporre che ogni operazione contabile passiva inserita in un conto corrente influisce, direttamente ed immediatamente, sul saldo di esso: sicché, ove questo sia attivo, ne deriva una corrispondente perdita di disponibilità patrimoniale (cioè una riduzione del credito verso l'altro correntista); mentre nel caso opposto ne deriva un aggravamento della posizione debitoria. In entrambi i casi l'operazione contabile dà luogo a un depauperamento che, nella prospettiva del successivo fallimento (o provvedimento equivalente), integra quella distrazione che costituisce l'elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta
patrimoniale" e che "ad integrare l'elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è sufficiente il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa, nella prevedibilità di un pregiudizio per i creditori sotto il profilo della riduzione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore: mentre non è necessaria la consapevolezza dello stato di dissesto in cui l'impresa stessa si trova (…). D'altra parte la Corte d'Appello ha chiaramente spiegato come fosse dimostrata la colpevole volontà dell'imputato di trasferire risorse economico-finanziarie da una società all'altra, in un momento di difficoltà del gruppo di appartenenza e, quindi, della stessa (…)

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