In relazione alle norme del codice civile che riguardano l'interpretazione dei contratti e delle singole clausole contrattuali (e in particolare con riferimento agli articoli 1362 e 1363), la Corte di Cassazione (sentenza n. 19205/2009) ha ribadito che la valutazione compiuta dal giudice sulla volontà negoziale delle parti attiene al merito e, "se sorretta da motivazione adeguata e non illogica, è insuscettibile di controllo" nel giudizio di Cassazione. Nella parte motiva della sentenza gli ermellini richiamano una precedente decisione (la numero 2957 del 2009). Nel caso preso in esame dai supremi giudici non è stata ravvisata dunque violazione o falsa applicazione di legge nè insufficiente o contraddittoria motivazione. L'articolo 1362 infatti dispone che "Nell'interpretare il contratto
si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole" e che "per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto". Anche il successivo art. 1363 si limita a stabilire che "le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo il senso che risulta dal complesso dell'atto". Ora, nella sentenza i giudici di Piazza Cavour hanno rilevato che il giudice di merito nel compiere la sua valutazione ha preso in esame la corrispondenza tra le parti e ne ha valutato la volontà negoziale. E la sua valutazione dunque non è sindacabile.

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