La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Sent. n. 19456/2009) ha stabilito che all'interno delle società di persone le conseguenze di una dichiarazione dei redditi infedele pesano su tutti i soci. Gli Ermellini hanno infatti precisato che "secondo l'orientamento di recente assunto dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 14815 del 4.6.2008, che ha affermato il principio secondo cui l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci, salvo che questi prospetti questioni personali".
La Corte ha poi evidenziato "adottando un orientamento da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, che ove il socio di società di persona non abbia dichiarato, per la parte di sua spettanza, il reddito societario risultante dalla rettifica operata dall'Amministrazione a carico della società risponde delle sanzioni per l'infedele dichiarazione, atteso che la loro applicazione trova causa nella dichiarazione di un reddito inferiore a quello imponibile e che il socio non può farsi scudo della società,attribuendo esclusivamente ad essa la violazione fiscale, atteso che la sua posizione nell'ambito della compagine sociale, tanto nel caso in cui non rivesta la carica di amministratore, quanto, a maggior ragione, qualora come la rivesta, gli consente il controllo dell'attività della società e della sua contabilità e quindi di verificare l'effettivo ammontare del suo reddito e, pertanto, degli utili conseguiti in proporzione alla propria quota di partecipazione (…)".

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