È noto che il codice civile regola espressamente gli aspetti relativi alla nomina ed al funzionamento del collegio sindacale nelle sole società per azioni. Esso adotta, per gli altri organismi societari, il meccanismo del rinvio. Si tratta di una scelta legislativa, rimessa alla autonomia del legislatore e, come tale, insindacabile nel merito. La tecnica, se ha il pregio della immediatezza e della semplicità, non va esente da critiche qualora, invece, manchi la necessaria identità tra gli elementi sostanziali delle fattispecie richiamate. Questo è il caso della sorte del collegio sindacale, ove i presupposti che lo abbiano reso obbligatorio, vengano meno manente societate. È altresì noto che nelle società a responsabilità limitata, o nelle società cooperative, l'adozione del collegio sindacale risulta obbligatorio, o facoltativo, a seconda della esistenza di determinati presupposti prevsti dalla legge. Tuttavia, lo schema legislativo è insufficiente. Il codice civile
, infatti, lungi dal contenere una disciplina puntuale e rigorosa delle vicende cui soggiace il collegio sindacale per il caso di cessazione dei presupposti che lo abbiano eventualmente reso "obbligatorio", si limita, piuttosto, a rinviare, alle regole dettate in tema di società per azioni. Tale rimando fuzzy è contenuto, rispettivamente, per le società a responsabilità limitata all'art. 2447 c.c. e per le società cooperative, all'art. 2543 c.c. In particolare, l'art. 2477 c.c. dispone che la nomina del collegio sindacale sia obbligatoria quando il capitale sociale non sia inferiore al minimo stabilito per le società per azioni (pari o maggiore a 120.000,00 euro) e altresì quando, per due esercizi consecutivi, siano stati superati i limiti quantitavi previsti dall'art. 2435 bis c.c. (come modificato dal d. lgs. N.173/2008) per la redazione del bilancio in forma abbreviata. Il disinteresse del legislatore è evidente. Il primo problema che si pone riguarda la corretta individuazione del dies a quo dal quale la nomina del collegio sindacale diviene obbligatoria. Si ritiene comunemente che esso vada identificato con la delibera
di approvazione del bilancio dalla quale risulti il superamento dei parametri indicati dall'art. 2435 bis c.c. È tale delibera di approvazione del bilancio che indica, normalmente, il presidente dell'organo, indica i sindaci e provvede, naturalmente, alla determinazione del loro compenso. Depone a favore della "delibera di approvazione del bilancio" piuttosto che della "delibera di chiusura dell'esercizio sociale", la considerazione che, altrimenti, il collegio sarebbe tenuto alla predisposizione di una relazione su di un bilancio sociale rispetto al quale non avrebbe potuto svolgere, in concreto, alcuna funzione di vigilanza.
Analogamente deve ritenersi per il caso della eventuale involuzione dei parametri che rendano non più obbligatoria, nelle società a responsabilità limitata e nelle società cooperative, la adozione del collegio. Il dies a quo in questi casi, non è riferiribile alla "chiusura dell'esercizio sociale" ma, piuttosto, è coevo alla approvazione del bilancio stesso. Ritenere altrimenti significherebbe privare i soci della relazione sindacale e della tutela cui essi hanno diritto. Perplessità interpretative e di non facile soluzione, riguardano, invece la asimmetria normativa (bilancio biennale/collegio triennale) per il caso in cui i parametri che hanno condotto alla obbligatoria adozione dell'organo, vengano meno durante il trienno di carica. Ci si è chiesti, in assenza di dati normativi, se tale fenomeno possa condurre ad una sorta di immediata decadenza automatica dell'organo, oppure e piuttosto, ad una sua eventuale pervicace permanenza sotto il fregio della continuità, in virtù della c.d. prorogatio dell'organo. È chiaro che, per queste ipotesi, la sorte del collegio sindacale "superstite" sia strettamente connessa alla previsione statutaria della sua "necessarietà" o della sua "facoltatività". Ne discende che (al di fuori delle ipotesi di elezione obbligatoria del collegio sindacale di cui all'art. 2477 c.c. per le s.r.l. e all'art. 2543 c.c. per le società cooperative), la nomina dell'organo è sempre legittimamente facoltativa, traendo essa origine da una precisa manifestazione di volontà della società. Il risultato cui si perviene è che, pertanto, sia assolutamente da escludere che l'organo possa considerarsi decaduto automaticamente al verificarsi del venir meno dei presupposti in parola. In altri termini, la libertà dei soci di adottare (o meno) l'organo di controllo ha il suo massimo grado di espressione con l'esercizio della facoltà e potere contrario, cioè quello di revocare l'organo in carica, ove e nei limiti in cui se ne ritenga ammissibile la revoca, oppure, alternativamente, di non rinnovarlo alla scadenza. Infine, per quanto attiene al problema del modus, cioè della modalità della espressione della volontà della società, occorre distinguere il caso in cui l'atto costitutivo della srl espressamente contenga una clausola relativa alla nomina dell'organo, dal caso in cui non sia previsto alcunchè, con un rinvio al "tipo legale" (che in effetti non c'è). Mentre non è dubbio che nel primo caso il supertstite collegio sindacale facoltativo rimanga in carica fino alla sua naturale scadenza, nel secondo caso, invece, la soluzione non è de plano, dovendo fare i conti con la piu volte cennata assenza di disciplina espressa. È possibile rinvenire uno scarno riferimento testuale dalla lettura dei commi II e III dell'art. 2477 c.c., ove si "intuisce" la necesità di una espressione assembleare, rispettivamente, ove, sia per "la nomina del collegio sindacale" sia per "la cessazione dell'obbligo di nomina", siano o meno stati superati i limiti di cui all'art. 2435 bis c.c. Tale lettura combinata dei commi II e III dell'art. 2435 bis c.c., in uno alla indiscussa inderogabilità del termine triennale, al riconosciuto principio della inamovibilità ed alla incontestata tassatività delle cause di decadenza dell'organo, conduce agevolmente a ritenere che è sempre necessaria una manifestazione di volontà della società sia nell'uno che nell'altro senso. Resta da sottolineare che vi è chi esclude che lo statuto possa eventualmente spingersi fino a prevedere clausole di decadenza dell'intero collegio sindacale seppur in correlazione col venir meno dei presupposti che ne hanno reso obbligatoria la adozione, potendosi piuttosto solo ampliare (e non restingere) i requisiti oggettivi e soggettivi dei membri del collegio ai sensi dell'art. 2399 c.c. III comma c.c. In realtà il problema della revoca del collegio sindacale è strettamente correlato alla funzione dell'organo, funzione di controllo di legalità, affidato ad esperti di comprovata esperienza, indipendenza, autorevolezza e in posizione di terzietà. Il collegio sindacale, tra i suoi compiti, in funzione anche di organo di tutela delle minoranze, ha quello dello svolgimento del controllo di legalità sull'operato degli amministratori, i quali ultimi, normalmente, sono espressione della volontà della maggioranza. Tale schema logico si fonda su un generico e latente "principio di diffidenza", cui sembra uniformarsi la disciplina societaria, con la introduzione di un complicato sistema di controlli incrociati e piramidali, attraverso l'affidamento alle parti delle vesti di custode dell'altra. Senza addentrarsi nel troppo abusato problema dei c.d. "diritti fondamentali dei soci", e di come essi siano stati oggetto, insieme, di "ridimensionamento" e di "dilatazione", - seppur in diversi ambiti giuridici -, potrebbe ritenersi che una eventuale soppressione del collegio sindacale tuout court, in quanto potenzialmente lesiva di un "diritto fondamentale del socio", e cioè del diritto costituzionalmente garantito al controllo di legalità, potrebbe richiedere, per la sua compressione, l'unanimità dei consensi. Al di là dalle posizioni che ciascuno voglia assumere in relazione alla querelle, ormai logora, sui rimedi concessivi di tutela di quella categoria evanescente delle c.d. "lesioni dei diritti fondamentali dei soci", non si possono sottacere le posizioni di coloro che, invece, hanno ritenuto "suffisait" una semplice "tutela attenuata". Corollario di tale posizione è che, laddove siano previsti dalla legge altri strumenti che possano realizzare in via tendenziale, il medesimo risultato di tutela dei soci, non vi è lesione, cioè, non vi è diritto a tutela. La posizione contrattuale del socio, sarebbe perciò tutelata mediante il ricorso alla previsione di cui all'art. 2476, 2° comma, c.c. "Suffisait" sarebbe il diritto, di avere dagli amministratori, notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. Tale diritto, sebbene sia da considerarsi un minus rispetto al più penetrante controllo di legalità, si è ritenuto presidio minimo, insuperabile e sufficiente. È dallo statuto sociale che può emergere se i soci, al venir meno dei presupposti che rendono obbligatorio il collegio sindacale, abbiano inteso o meno prevedere in ordine alla nomina obbligatoria o facoltativa, pur in assenza dei detti presupposti. Da ciò deriva la opportunità che, in assenza di una disciplina espressa la prassi supplisca al vuoto normativo. La presenza di una clausola che sancisce la nomina del collegio sindacale, - pur in assenza dei predetti presupposti, - impone, trattandosi di modifica dell'atto costitutivo, che la soppressione dell'organo, ove ritenuta ammissibile, dovrà essere deliberata con le maggioranze e con le forme ivi previste (art. 2480 c.c.) per tali modificazioni. Se, piuttosto, sia prevista, invece, una semplice facoltà di nomina del collegio sindacale, la soppressione (pur se anch'essa sia ritenuta ammissibile e non senza dubbi), non rappresentando una modifica dell'atto costitutivo, potrà essere realizzata anche con le formalità di "grado mediato" di cui alla consultazione scritta o consenso espresso per iscritto, e cioè col voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale, ovvero con idonea deliberazione dell'assemblea costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale approvata a maggioranza assoluta. In via subordinata è da riconoscere ai soci la piena facoltà di non rinnovare l'organo alla sua naturale scadenza, salvo, si intende, che l'atto costitutivo non ne preveda la nomina obbligatoria.
Avv. Genny L. M. Pisa

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