Le è costata una condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione la sua decisione di rimanere in silenzio davanti ai giudici e di non dire nulla delle botte e dei maltrattamenti subuti dal marito. Ha deciso di tacere per paura di possibili ritorsioni ma è stata condannata per falsa testimonianza. Una condanna che anche la Corte di Cassazione ha confermato. Per quanto possa apparire paradossale la condanna è stata inflitta a una 34enne che, chiamata a testimoniare davanti al Tribunale in un procedimento a carico del proprio marito imputato per maltrattamenti in danno della moglie, "negava falsamente di essere stata maltrattata durante gli anni della convivenza coniugale e di essere stata percossa". Nella sentenza
della Suprema Corte riconosce che l'esimente prevista dall'art. 384 c.p. che prevede la non punibilità di ha commesso taluni reati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore, "non e' limitata ai soli casi di necessita' di salvare i beni della liberta' e dell'onore, ricorrendone le condizioni dello stato di necessita'" anche nei casi di "grave nocumento alla integrita' fisica". Questo perche' "il temuto danno alla incolumita' fisica si riverbera negativamente sulla stessa liberta' morale della persona minacciata". Il fatto è, spiega la Corte nella sentenza 26606/2009 che "una simile situazione e' stata ritenuta insussistente dalla Corte di appello, che ha osservato che essa e' stata adombrata solo nei motivi di appello redatti dal difensore, non essendo stata invece nemmeno allegata dalla diretta interessata, che e' rimasta contumace sia in primo sia in secondo grado, sottraendosi cosi' alla concreta possibilita' di farla valere offrendo ai giudici di merito i necessari elementi di fatto atti ad avvalorarla".

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