La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 5430/2009) ha stabilito che per la condanna di un professionista e di un imprenditore per evasione e/o per un altro reato fiscale, non sono sufficienti le verifiche sui conti bancari. Gli Ermellini hanno precisato che "l'art. 32, comma primo n. 2), del D.P.R. 29.9.1973 n. 600 contiene una presunzione legale di corrispondenza delle partite attive, risultanti dai rapporti del contribuente sottoposto a verifica con gli istituti di credito, con i ricavi dell'attività di impresa o professionale, in assenza della dimostrazione che le stesse ‘non hanno rilevanza' ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta" e che "detta presunzione, tuttavia, non opera in sede penale, sicché il giudice di merito deve motivare in ordine alle ragioni per le quali i dati della verifica effettuata in sede fiscale sono stati ritenuti attendibili".
La Corte ha infine evidenziato che è stato affermato da una Sentenza della Corte che "ai fini dell'individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità di cui all'art. 5 D. lgs. n. 74 del 2000, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche ad entrare in collisione , con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario" e che "con la stessa pronuncia è stato inoltre precisato che, ai fini dell'accertamento in sede penale, deve darsi prevalenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento tributario".

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