Corte di Cassazione Sentenza n. 27469 del 7 luglio 2008
Anche le vessazioni sul posto di lavoro possono essere considerati 'maltrattamenti in famiglia'. Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione che, con la Sentenza n. 27469 (del 7 luglio 2008) ha precisato che "l'articolo 572 del vigente codice penale, rispetto all'analoga norma contenuta nel codice del 1989, ha ampliato la categoria delle persone che possono essere vittima di maltrattamenti, aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sottoposta all'autorità dell'agente, ovvero al medesimo affidata per ragioni d'istruzione, educazione, ecc. Sussiste il rapporto d'autorità ogni qualvolta una persona dipenda da altra mediante un vincolo di soggezione particolare (ricovero, carcerazione, rapporto di lavoro subordinato, ecc.). Invero non v'è dubbio che all'imprenditore o a chi lo rappresenti spetti l'autorità sui propri dipendenti riconosciuta da precise norme di legge (artt. 2086, 2106 e 2134 cod. civile)".
Pertanto, ha aggiunto la Corte "il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato da potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente, pone quest'ultimo nella condizione, specificamente prevista dalla norma penale testè richiamata di 'persona sottoposta alla sua autorità', il che, sussistendo gli altri elementi previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di lavoro il reato di maltrattamenti in danno del lavoratore dipendente".
Gli Ermellini hanno poi precisato che "la fattispecie in esame a differenza del maltrattamento in famiglia non richiede la convivenza ma la semplice sussistenza di un rapporto continuativo. In definitiva, gli atti vessatori, che possono essere costituiti anche da molestie o abusi sessuali, nell'ambiente di lavoro, oltre al cosiddetto fenomeno del mobbing, risarcibile in sede civile, nei casi più gravi, possono configurare anche il delitto di maltrattamenti".

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