La Corte Costituzionale, con sentenza del 23 maggio scorso (n.169/2008) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge n. 898/70 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80, limitatamente alle parole "del luogo dell'ultima residenza
comune dei coniugi ovvero, in mancanza". La norma in questione, spiega la Corte, "nella sua formulazione originaria, individuava, quale foro dei procedimenti di cui si tratta, il tribunale del luogo in cui il convenuto aveva la residenza, oppure, nel caso di irreperibilità o di residenza all'estero, quello del luogo di residenza del ricorrente". Successivamente, l'art. 8 della legge n. 74/87 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nel sostituire l'intero art. 4 aveva introdotto, quale criterio alternativo alla residenza quello del domicilio (del convenuto, come del ricorrente), "contemplando, altresì, l'ipotesi di residenza all'estero di entrambi i coniugi e prevedendo, in tal caso, che la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio potesse essere proposta innanzi a qualunque tribunale della Repubblica".
Nel 2005 si è introdotto un diverso criterio, fissando quale foro competente il "tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio", mantenendo, per il resto, gli altri criteri di competenza individuati dal richiamato art. 8 della legge n. 74 del 1987.
In sostanza nel caso in cui i coniugi avessero avuto in passato una residenza comune, la competenza sarebbe spettata al tribunale del luogo in cui si trovava tale residenza anche se al momento della domanda nessuna delle parti avesse alcun rapporto con quel luogo. Si tratta secondo la Corte di un criterio irragionevole e ingiustificato specialmente se si considera che nella maggior parte dei casi la residenza comune viene a cessare da quando i coniugi vengono autorizzati a vivere separatamente e quando si presenta la odmanda di divorzio spesso è venuto meno qualsiasi collegamento con la sede territoriale del tribunale individuato dalla norma.
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