Il delitto d'onore non da alcuni diritto ad uno sconto di pena perché costituisce "l'espressione di uno stato passionale sfavorevolmente valutato dalla comune coscienza etica, in quanto manifestazione di un sentimento riprovevole ed esaperato di superiorita' maschile". E' quanto sottolinea la prima sezione penale della Corte di Cassazione (n.37352/2007) che ha così negato le richieste attenuanti ad un 40enne accusato di aver ucciso la moglie per motivi d'onore. Il movente del delitto "era da ricercare nella forte gelosia che l'uomo nutriva nei confronti della moglie a causa delle maldicenze sul comportamento della donna maturate in ambito familiare". L'uomo, dopo essere stato condannato a trent'anni di reclusione si era rivolto alla Corte per richiedere le attenuanti. La Corte però ha respinto la sua richiesta ricordando che "la causa d'onore non puo' assurgere al rango di circostanza attenuante in quanto espressione di una concezione angusta e arcaica del rapporto di coniugio, apertamente confliggente con valori ormai acquisiti nella societa' civile che ricevono un riconoscimento e una tutela anche a livello costituzionale, quali il rispetto della vita, la dignita' della persona, l'uguaglianza di tutti i cittadini senza discriminazioni basate sul sesso, l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi all'interno della famiglia, quale societa' naturale fondata sul matrimonio
". Un'attenuante, spiega la Corte, può essere concessa solo a determinati presupposti: "lo stato d'ira, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso incontenibile; il fatto ingiusto altrui, costituito dall'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti la ordinaria, civile convivenza; un rapporto di causalita' psicologica tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalita' di esse".

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