"Ineriscono alla sfera della famiglia, costituzionalmente protetta, i pregiudizi alla realizzazione personale derivanti dalla perdita del prossimo congiunto, in conseguenza di un fatto illecito altrui. La distruzione del nucleo familiare, la impossibilità dei superstiti di esplicare la propria personalità nei rapporti con il congiunto, la relazione affettiva nel rapporto paterno con la giovanissima figlia, la perdita delle attività sociali e culturali costituiscono delle privazioni e modifiche delle abitudini della vita, in senso negativo che rientrano nelle dimensioni costitutive del danno da perdita parentale. Il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno, unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, e alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare e provare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione". È questo il principio ricavabile dalla lettura di una recente pronuncia (Sent. n. 20987/2007) con cui la Corte di Cassazione, intervenendo su una delicata vicenda di malasanità
coinvolgente una bambina di sette anni deceduta a causa di cure mediche errate, ha respinto il ricorso proposto dal padre nella parte in cui sosteneva che il danno esistenziale da lui subito - conseguenza irreparabile della perdita della figlia - era in re ipsa e, come tale, non richiedeva né prova in concreto né accertamento medico-legale.

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