L'inclusione dei fatti contestati nel codice disciplinare precedentemente affisso - condizione ontologicamente essenziale per il licenziamento disciplinare - non è necessaria in occasione di un comportamento del lavoratore che consiste "nella violazione di regole di convivenza civile, che impongono il reciproco rispetto e che sono radicate nella coscienza sociale". E' quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2372, del 7 novembre 2006, secondo cui nell'esercizio del potere di recesso da parte del datore di lavoro per giusta causa o giustificato motivo, previsto dagli artt. 1 e 3 della legge 604/1966, lo stesso non è obbligato a porre in essere la previa affissione del codice disciplinare. La decisione in argomento è conforme all'indirizzo maggioritario della giurisprudenza (Cass. 13906/2000; Cass. 3949/1989; Cass. 2963/1991; Cass. 1974/1994: Cass. 5434/2003; Cass. 12500/2003; Cass. 12735/2003; Cass. 13194/2003) secondo cui il divieto del rispetto di quelle regole di convivenza civile "risiede nella coscienza sociale quale minimo etico e non già nelle disposizioni collettive o nelle determinazioni dell'imprenditore
." Nella fattispecie in esame la lavoratrice interessata - un'insegnante che, nel corso di una riunione di un collegio dei docenti, rivolge gravi critiche, polemiche e ingiurie alla struttura dalla quale dipende - avrebbe posto in essere un comportamento denigratorio nei confronti del datore di lavoro, contestatole formalmente e poi sanzionato con il provvedimento espulsivo, che rientra nelle casistiche giurisprudenziali sopra descritti. (Nota di Gesuele Bellini)
Cassazione, sez. lavoro, sentenza 7.11.2006 n° 2372

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