Il transessuale non vive sulla linea di confine trai sessi: è uomo o donna (in ragione del sesso scelto) e come tale ha diritto ad essere trattato. In particolare, l'età pensionabile, distinta per genere, deve tener conto del sesso del lavoratore nel momento in cui questi presenta la domanda di anzianità e ignorare, dunque, quello da questi posseduto al momento della nascita se, successivamente, sia stato mutato: una normativa che opti per la seconda opzione viola il diritto dell'individuo a non essere discriminato in ragione del proprio sesso, situazione giuridica soggettiva che costituisce uno dei principi fondamentali della persona umana. IL CASUS DECISUS: quando il ?pensionato? è una donna Nei termini richiamati la Corte di Giustizia Europea bacchetta la legislazione nazionale del Regno Unito la quale ancorava al sesso biologico di nascita il referente per l'erogazione del trattamento pensionistico, ignorando gli effetti collaterali di una simile legislazione nel caso in cui il beneficiario della pensione fosse un transessuale: nelle fattispecie, la ricorrente Sarah Margaret Richards, registrata alla nascita come persona di sesso maschile, si era sottoposta ad una operazione chirurgica di cambiamento del sesso spogliandosi degli abiti maschili per indossare quelli di una donna. Orbene, nel Regno Unito gli uomini possono beneficiare di una pensione di anzianità
a 65 anni e le donne all'età di 60: raggiunta tale ultima soglia, la Richards richiedeva al Secretary of State for Work and Pensions, l'istituto pensionistico britannico, l'erogazione del trattamento pensionistico che le veniva però negato in quanto il sesso di una persona in base alle norme applicabili in materia di sicurezza sociale era da rinvenire in quello menzionato nel certificato di nascita. Per quanto la ricorrente poteva essere donna, ai fini della pensione rimaneva uomo. Ed ecco l'intervento della C.G.E. ad avviso della quale, il rifiuto opposto alla ricorrente equivale alla violazione del diritto comunitario e integra gli estremi di una discriminazione basata sul sesso a tutti gli effetti.
La Corte, richiama, a sostegno della decisione, i precedenti conformi, nei quali il Collegio europeo ?ha dichiarato che una normativa nazionale che impedisce che un transessuale, a causa del mancato riconoscimento del suo sesso acquisito, possa soddisfare una condizione necessaria all'esercizio di un diritto tutelato dal diritto comunitario dev'essere considerata in linea di principio incompatibile con le prescrizioni del diritto comunitario (v. sentenza K. B., 7 gennaio 2004, causa C-117/01, punti 30-34)?. Risulta, pertanto, che l'articolo 4, n. 1, della direttiva 79/7 osta ad una normativa che nega il beneficio di una pensione di vecchiaia
ad una persona che, in conformità alle condizioni stabilite dal diritto nazionale, sia passata dal sesso maschile al sesso femminile per il motivo che essa non ha raggiunto l'età di 65 anni, quando invece questa stessa persona avrebbe avuto diritto a detta pensione all'età di 60 anni se fosse stata considerata come donna in base al diritto nazionale DIRITTO ALL'IDENTITA' SESSUALE: è il soma a doversi adeguare alla Psiche. L'intervento della Corte si colloca nel solco di una giurisprudenza comunitaria consolidata al seguito della quale il transessuale ha diritto ad essere trattato secondo il sesso scelto ad ogni effetto e conseguenza di legge: è illecito, dunque, ?rievocare? nella vita di questi, nell'ambito di taluni istituti, il sesso di origine su cui deve scendere la coltre dell'oblio (la legislazione nel nostro stato è quella di cui alla legge n. 164 del 1982). In tal senso, la C.G.E. ha ritenuto, ad esempio, che strappi il tessuto dei diritti fondamentali della persona, una legislazione che, in violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, impedisca ad una coppia, di cui uno dei due componenti è un transessuale, di soddisfare la condizione del matrimonio (Corte giustizia comunità Europee, 07/01/2004, n.117 in Famiglia e Diritto, 2004, 139). Più efficacemente, il giudice europeo ha precisato che, in considerazione dello scopo della direttiva del Consiglio n. 76/207/Ce del 9 febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, l'art. 5, n. 1 di tale direttiva osta al licenziamento di un transessuale per motivi connessi al suo mutamento di sesso (Corte giustizia comunità Europee, 30/04/1996, n.13 in Dir. Scambi Internaz., 1996, 346). Infatti, poichè il diritto di non essere discriminato a causa del proprio sesso costituisce uno dei diritti fondamentali della persona umana, la sfera d'applicazione della direttiva non può essere ridotta alle sole discriminazioni dovute all'appartenenza all'uno o all'altro sesso, ma si estende alle discriminazioni determinate dal cambiamento di sesso dell'interessato (si veda anche la giurisprudenza della CEDU, Corte europea diritti dell'uomo Corte, 17/10/1986 in Riv. Dir. Internaz., 1987, 735). La parola chiave che guida le diverse statuizioni della Corte è diritto all'identità sessuale, come diritto assoluto della personalità incomprimibile, e riconducibile all'alveo dell'art. 2 della Costituzione: se il sesso biologico di nascita non corrisponde a quello psicologico della persona, questa ha diritto alla rettificazione del proprio stato onde evitare una condizione di prigionia latente defatigante ed idonea a soffocare il libero sviluppo dell'individuo. Come osservato in giurisprudenza, il transessualismo gino-androide rappresenta una vera e propria condizione esistenziale, legata al mancato intimo riconoscimento del proprio sesso biologico e al profondo bisogno interiore di vivere in conformità e secondo i ruoli del sesso opposto. Se, quindi, una persona è l'unione di soma e psiche, è indubbio che è l'aspetto psicologico ed emotivo a dominare la connotazione sessuale, affettiva e sociale di un individuo e che in caso di insuperabile dissonanza tra i due elementi, è il soma a doversi adeguare alla psiche, nella misura necessaria e sufficiente ad assicurare alla persona il conseguimento della propria armoniosa identità (Trib. Monza, 08/11/2005). (Si ringrazia Giuseppe Buffone e Altalex) LaPrevidenza.it, 19/05/2006
Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza 27.4.2006 n° C-423/04 - Giuseppe Buffone

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