Fallo di gioco punibile anche se non volontario La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 19473/2005) ha stabilito che il fallo di gioco commesso durante una partita di calcio che abbia causato una grave lesione all'avversario può essere punito come reato sia a titolo di dolo che di semplice colpa. I Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che "in materia di lesioni personali derivanti dalla pratica dello sport, le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali hanno, da tempo, definito i contorni della nozione di illecito sportivo, nozione che ricomprende tutti quei comportamenti che, pur sostanziando infrazioni delle regole che governano lo svolgimento di una certa disciplina agonistica, non sono penalmente perseguibili, neppure quando risultano pregiudizievoli per l'integrità fisica di un giocatore avversario, in quanto non superano la soglia del c.d. rischio consentito" e che "si tratta di un'area di non punibilità, la cui giustificazione teorica non può che essere individuata nella dinamica di una condizione scriminante". La Corte ha però precisato che "posto che l'uso della forza fisica, nel senso anzidetto, può essere causa di pregiudizi per l'avversario che cerchi di opporre regole azione di contrasto, il rispetto delle regole segna il discrimine tra lecito ed illecito in chiave sportiva" e che "neppure in ipotesi di violazione di quelle norme, tale da configurare illecito sportivo, viene travalicata l'area del rischio consentito, ove la stessa violazione non sia volontaria, ma rappresenti, piuttosto, lo sviluppo fisiologico di un'azione che, nella concitazione o trance agonistica (ansia del risultato), può portare alla non voluta elusione delle regole deliberatamente piegata al conseguimento del risultato, con cieca indifferenza per l'altrui integrità fisica o, addirittura, con volontaria accettazione del rischio di pregiudicarla, allora, in caso di lesioni personali, si entra nell'area del penalmente rilevante, con la duplice prospettiva del dolo o della colpa.
Il dolo ricorre quando la circostanza di gioco è solo l'occasione dell'azione volta a cagionare lesioni, sorretta dalla volontà di compiere un atto di violenza fisica (per ragioni estranee alla gara o per pregressi risentimenti personali o per ragioni di rivalsa, ritorsione o reazione a falli precedentemente subiti, in una logica dunque punitiva o da contrappasso).? La Corte infine precisa che ?è evidente che, ai fini dell'indagine in questione, risulta decisivo accertare se il fatto si sia o meno verificato nel corso di una tipica azione di gioco, in quanto in ipotesi alternativa ricorre sempre una fattispecie dolosa.
Quando, invece, la violazione delle regole avvenga nel corso di una ordinaria situazione di gioco, il fatto avrà natura colposa, in quanto la violazione consapevole è finalizzata non ad arrecare pregiudizi fisici all'avversario, ma al conseguimento, in forma illecita, e dunque antisportiva, di un determinato obiettivo agonistico, salva, ovviamente, la verifica in concreto che lo svolgimento di un'azione di gioco non sia stato altro che mero pretesto per arrecare, volontariamente, danni all'avversario?.
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