Dopo Brindisi, a Salerno si apre un'altra breccia nelle discutibili prassi applicative dell'affidamento condiviso

di Marino Maglietta - Che a seguito delle linee-guida varate a Brindisi fosse Salerno la prima sede di tribunale a seguirne le tracce poteva essere facilmente previsto, ove si rammenti che fu a suo tempo la culla dell'affidamento condiviso, grazie alla presenza in Corte di Appello del Dr. Bruno Defilippis, che fece parte del ristrettissimo gruppo - tre soli membri - che all'inizio degli anni duemila supportò tecnicamente l'on. Maurizio Paniz, relatore della proposta di legge 66 della XIV Legislatura. A Defilippis, giova rammentare, si devono in particolare brillanti intuizioni e accostamenti giuridici come l'avere affermato che "il mantenimento diretto dei figli sta all'affidamento condiviso come il mantenimento mediante assegno sta all'affidamento esclusivo", a sostegno di un pilastro fondamentale del nuovo istituto (leggi in merito: l'articolo del giudice De Filippis "Addio al genitore collocatario?"). 

E sempre a Salerno si adoperò con impegno a favore della riforma Gian Ettore Gassani, oggi presidente dell'AMI.

E oggi a Salerno si manifestano nuovi orientamenti strettamente aderenti allo spirito della riforma del 2006, per iniziativa del Coordinatore della Prima Sezione Civile del Tribunale, Dr. Giorgio Jachia, espressi in una pregevole recentissima nota, pubblicata su Ilcaso.it .

Il ragionamento ivi sviluppato, dunque, non può che trovare consenso, già dal titolo stesso "Dalla residenza privilegiata alla partecipazione dei genitori alla quotidianità dei figli". E la prima a saltare, difatti, è la sistematica collocazione prevalente presso uno dei genitori, in diretta e frontale antitesi rispetto alla volontà del legislatore. Ad essa si contrappone non il 50% del tempo fiscalmente e rigidamente ripartito tra i genitori, ma pari opportunità per il figlio di rapportarsi con ciascuno dei genitori in funzione dei suoi momentanei bisogni, in un equilibrio dinamico che non gli impedisce di trascorrere in un certo periodo più tempo con la madre che con il padre, ma ciò che conta è che avrebbe potuto avvenire il contrario, se serviva, così come magari accadrà in un successivo periodo, non essendo avvenuta alcuna rigida "investitura", non essendo stata creata dal nulla alcuna nuova figura giuridica.

Con il che si dà risposta anche a quanti, capovolgendo la realtà, avevano voluto vedere nelle linee guida di Brindisi una sola soluzione per tutte le situazioni. Vero il contrario: flessibilità e adattamento ai singoli casi, all'interno del saggio e doveroso rispetto per i principi della riforma e, soprattutto, per i non disponibili diritti del minore. Dunque anche regimi sbilanciati, ma occasionalmente e motivamente, finché durano determinate circostanze: più tempo presso la madre che allatta, meno tempo presso quella assistente di volo, ma senza inventare contra legem un genitore che sarà permanentemente "il collocatario" - la madre nel primo caso, il padre nel secondo - se non altro perché i figli crescono e si svezzano e le occupazioni si possono anche perdere o cambiare. Un'applicazione, dunque, che considera anche l'esclusione di un genitore dall'affidamento (considerando la persona e le sue eventuali mancanze, non l'istituto dell'affidamento condiviso), ma non per l'elevata conflittualità reciproca, la distanza tra le abitazioni o la tenera età dei figli - come avveniva per l'affidamento congiunto - ma solo per gravi carenze del genitore da escludere, e quindi per la sua unilaterale aggressività o per la sua "assenza" affettiva, concreta e volontaria, dalla vita dei figli. Assenza, pertanto, che non può essere certamente imposta al genitore dallo stesso sistema legale, che quale unico compito gli assegni quello di dare del denaro al collocatario; come acutamente osserva la nota di Salerno. Allo stesso modo, la "residenza abituale" a null'altro può servire che ad individuare il giudice competente in caso di fughe con i figli o simili, guardando al luogo del precedente, già avvenuto, radicamento dei figli e non all'abitazione presso la quale vengono anagraficamente segnati come residenti i figli il giorno della separazione dei genitori. Meno che mai potrà servire per attribuire al genitore che ivi abiti una qualsiasi sorta di prevalenza.

Detto questo, la nota affronta anche il problema dell'assegnazione della casa familiare, sempre sottintendendo "ove ci si trovi nel caso in cui questa debba essere assegnata al di fuori dei criteri ordinari". Traducendo, è evidente che si dovranno distinguere due tipi di fattispecie: quelle in cui i tempi di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori siano mediamente equivalenti, anche se in equilibrio dinamico (soluzione tipica per un affidamento condiviso), nelle quali l'affidamento è ininfluente rispetto alle regole ordinarie; e quelle in cui situazioni particolari, anche se non rare, conducono ad una frequentazione sbilanciata nei tempi: classica quella in cui un genitore per impegni di lavoro è poco presente. E' in casi del genere che indubbiamente conviene assegnare la casa familiare al genitore con il quale i figli trascorreranno più tempo, in nome della "stabilità logistica". Quindi, dice giustamente la nota, prima si guarda la situazione specifica e dopo si assegna la casa. Non viceversa.

Infine, non si può fare a meno di osservare quanto felicemente sia affrontato il problema del mantenimento dei figli, dando alla forma diretta la dovuta preminenza (art. 337 ter comma IV) e sottolineando la sua praticabilità anche in situazioni di reddito diverso dei genitori, ovvero "attribuendo per intero i capitoli di spesa più pesanti al genitore più abbiente". Non resta che augurarsi che l'esempio di Brindisi e Salerno sia rapidamente seguito da molti altri tribunali, realizzando quella riforma a suo tempo fortemente voluta e che ancora attende di essere compiutamente e coerentemente applicata.

Leggi anche: "Affido condiviso: addio al collocamento prevalente"


Vedi anche: L'affidamento condiviso dei figli

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