Ecco i casi in cui, secondo la giurisprudenza, al datore è consentito licenziare il lavoratore "poco produttivo"

di Lucia Izzo - Se il lavoratore è "poco produttivo" può rischiare di essere licenziato per scarso rendimento. Quando si parla di "rendimento" si fa riferimento al risultato utile a favore dell'impresa che il lavoratore raggiunge in un determinato periodo di tempo.


La tematica è attuale e fonte di discussione, soprattutto in sede giurisprudenziale dove, pur essendosene ammessa la possibilità, la Suprema Corte ha tentato di individuare dei parametri particolarmente stringenti per stabilirne la legittimità.


Secondo parte della giurisprudenza il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore rientra nel tipo di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, poichè il concetto viene fatto dipendere da una violazione del dovere di diligenza del lavoratore che giustifica il recesso. 


In altri casi, invece, il licenziamento per scarso rendimento ha assunto rilevanza ai fini di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cass. sent. n. 3250/2003): ciò si realizza se, a prescindere dalla colpevolezza del dipendente, vi sia una perdita totale dell'interesse del datore di lavoro alla prestazione per lui non più utile in quanto incidente negativamente sul regolare funzionamento della dell'organizzazione aziendale.

L'onere della prova

Il datore di lavoro che intende procedere al licenziamento del lavoratore per scarso rendimento dovrà, tuttavia, provi particolare attenzione in quanto la giurisprudenza di legittimità pone a suo carico precisi oneri probatori. È consigliabile, tuttavia, per evitare che il licenziamento venga dichiarato illegittimo, inoltrare preventivamente al dipendente un sollecito invitandolo a migliorare il proprio rendimento.


L'analisi deve svolgersi rammentando che, nel contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato, bensì alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per inadempimento, giacché si tratta di lavoro subordinato e non dell'obbligazione di compiere un'opera o un servizio.


La recente sentenza n. 18317/2016 della Cassazione, in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ha rammentato che l'onere della prova grava sul datore, il quale "non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l'oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell'espletamento della sua normale prestazione".


Nella valutazione delle relative risultanze probatorie, prosegue la sentenza, dovrà tenersi conto, alla stregua di un bilanciamento dei principi costituzionali sanciti dagli articoli 4 e 41 Cost., del grado di diligenza normalmente richiesto per la prestazione lavorativa e di quello effettivamente usato dal lavoratore, nonché dell'incidenza dell'organizzazione complessiva del lavoro nell'impresa e dei fattori socio-ambientali.


In particolare, si è enfatizzata la possibilità per il datore di lavoro di dimostrare lo scarso rendimento effettuando comparazioni con il rendimento medio dei colleghi. La Cassazione ha più volte rammentato (Cass. sent. n. 18678/2014; n. 24361/2010) che "è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione".


In sostanza, sarà necessario valutare il grado di diligenza richiesto al lavoratore nello svolgimento della prestazione e verificare che lo scarso rendimento sia determinato da una condotta gravemente colpevole di questi. In caso  di comparazione con il rendimento medio dei colleghi, dovrà esservi una sproporzione particolarmente rispetto al risultato raggiunto dipendente. Lo scarso rendimento dovrà, ancora, essere imputabile al solo dipendente e non condizionato da fattori organizzativi o socio-ambientali dell'impresa stessa. Il comportamento del lavoratore, inoltre, andrà valutato in base a criteri di frequenza e abitualità, quindi relazionato a un significativo periodo di riferimento e reiterato, ossia non esauritosi in un singolo episodio o sporadici casi di sotto-rendimento.


Tuttavia, in alcuni casi la giurisprudenza ha ritenuto legittimo il licenziamento per scarso rendimento provocato da circostanze indipendenti dalla colpa del dipendente, ma che oggettivamente privano l'azienda dell'interesse alla prestazione lavorativa: ad esempio, precisa la Cassazione (sent. 18678/2014) ha precisato che "Le assenze per malattia, anche se incolpevoli, che per le loro modalità di verificazione diano luogo a scarso rendimento oggettivo e rendano la prestazione non più utile per il datore di lavoro incidendo negativamente sulla produzione e regolarità dell'organizzazione aziendale, possono fondare un legittimo recesso, anche se intervenute nel periodo di comporto". 


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