Per la Cassazione, è onere del datore di lavoro provare l'abbandono del posto di lavoro

di Marina Crisafi - Non può ascriversi l'abbandono del posto di lavoro e comminare il licenziamento al medico di turno che non risponde al cercapersone, soprattutto se al mattino seguente lo stesso passa le consegne al collega del turno successivo. Lo ha precisato la Cassazione (sentenza n. 856/2017, qui sotto allegata), ritenendo che spettasse al datore di lavoro dimostrare che il medico non era presente all'interno della struttura.

Già per i giudici di merito, il licenziamento comminato al sanitario era illegittimo, giacchè la condotta allo stesso addebitata, di non avere risposto al cercapersone, al quale era stato interpellato durante il turno, non poteva configurare il contestato abbandono del posto di lavoro "ma al più la sospensione del lavoro senza giustificato motivo" sanzionabile, dunque, con la sospensione. Ciò in quanto per "abbandono" si dovrebbe intendere "il fatto del sanitario che abbandona la struttura recandosi all'esterno e diventando irreperibile nell'ambito del turno assegnato". E questo non è avvenuto nel caso di specie, perchè il sanitario la mattina dopo passava le consegne al medico del turno diurno e durante la notte non era stato neanche cercato presso la struttura.

La Cassazione conferma le tesi di merito.

Sarebbe stato infatti onere del datore di lavoro, su cui incombe dimostrare la fondatezza dell'addebito "dimostrare che il medico non solo non aveva risposto al cercapersone e non era presente in reparto, ma che si era allontanato dalla struttura, così realizzando l'"abbandono" del posto di lavoro. Abbandono che, secondo la definizione tecnica data dalla giurisprudenza (cfr. 15441/2016), in base al suo significato letterale, "individua il totale distacco dal bene da proteggere, totale distacco che non ricorre quando la persona sia fisicamente reperibile nel luogo ove la prestazione dev'essere svolta", così avvalorando indirettamente la nozione di "abbandono" del posto di lavoro adottata dalla corte territoriale.

Cassazione, sentenza n. 856/2017

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