L'Autrice traccia il percorso della mediazione familiare proponendone una lettura antropologica e psicologica non trascurando i riferimenti normativi

di Margherita Marzario - "La famiglia agisce inoltre anche come agente di controllo sociale nel senso di produrre il rispetto e l'osservanza delle norme socialmente ritenute valide. In genere, il rischio di perdere la stima, l'affetto, l'assistenza dei propri familiari è una molla più potente delle sanzioni previste dal sistema giuridico, nel produrre la conformità a certe forme di comportamento; in questo senso la famiglia opera anche come gruppo di riferimento non nel senso di un gruppo al quale gli individui si adeguano per potere entrare a farne parte, ma di un gruppo al quale si conforma per non perdere l'appartenenza": scriveva così negli anni '70 il sociologo Alessandro Cavalli. Oggi la famiglia ha perso anche il controllo di sé e ha sempre più bisogno di sostegno, tra cui quello della mediazione familiare.

La mediazione familiare è la "summa" della mediazione, è la "summa" mediazione.
Jacqueline Morineau, una delle più grandi fautrici della mediazione: "Se partiamo da uno degli elementi essenziali della mediazione, l'apprendimento del non-giudizio, siamo necessariamente confrontati con il suo contrario, il giudizio. Esso ci conduce a falsificare in permanenza la parola dell'altro ed è fonte di disfunzioni nei nostri rapporti. Abbiamo la pretesa di veder chiaramente negli altri, quando siamo incapaci di veder chiaramente in noi stessi. Inoltre, ci proponiamo di cambiarli, perché abbiamo paura di cambiare noi stessi. Giudicare l'altro testimonia questa incapacità. La forza del nostro amor proprio ci impedisce di accettare tutta la responsabilità nella situazione e soprattutto di riconoscere che noi abbiamo potuto sbagliare. Abbiamo troppa paura di perdere la faccia, di incrinare l'immagine, la più lusinghiera possibile, che noi ci siamo così accuratamente costruita". La mediazione familiare serve a far superare l'atteggiamento del giudizio e a ripristinare quello della comprensione. Comprensione dal latino "cum" e "prehendere", prendere insieme, contenere in sé, abbracciare con la mente le idee, è una "presa in carico" comune delle sofferenze, delle rimostranze, delle esigenze dell'altro. È soprattutto filtrare e salvaguardare quell'atmosfera di felicità, amore e comprensione necessaria per la crescita del fanciullo (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia).

La mediazione familiare contribuisce anche al ripristino della necessaria "misericordia" familiare o, comunque, necessaria nella vita delle persone confliggenti. Il filosofo gesuita Guilhem Causse scrive: "Il rispetto, tra lode e servizio, è il momento centrale della misericordia. Non è innanzitutto quello di una legge o di un limite posto, secondo un principio di azione o un ideale di umanità. Il rispetto è consenso all'amore nella diversità e nella temporalità delle sue manifestazioni. Questo consenso si inscrive in una vita, di decisione in decisione, in un processo di approfondimento e di allargamento del cuore che, aprendosi all'amore, accoglie sempre più ogni altro e ogni cosa nella sua luce. Il rispetto è saggezza.

In posizione mediatrice, la saggezza misericordiosa è discernimento del tempo in cui agire e del luogo in cui fermarsi; del tempo in cui ripartire e del cammino da intraprendere. Essa è, da una parte, ascolto di ciò che è pace di una presenza che agisce e, dall'altra, gioia di un appello a camminare. Viene formata dai rituali e dai racconti. La si apprende secondo l'immaginazione e la memoria: memoria delle promesse sepolte del passato, risvegliate al contatto con le opere storiche e con i racconti dei vicini; immaginazione delle possibilità fino a quel momento sconosciute, scoperte a contatto con le opere di fantasia e della poesia. Grazie alla vitalità dell'immaginazione e della memoria, l'intelligenza non smette di lasciarsi sorprendere. I rituali personali […] nutrono un atteggiamento che, malgrado le emozioni ancora presenti e le abitudini troppo radicate, presta attenzione a ciò che si manifesta nel profondo".

La coppia deve avere la consapevolezza che tutto avviene nella reciprocità, seppure con apporti e responsabilità differenti, che si manifesta nello stare insieme, nella vita coniugale (art. 143 cod. civ.) sino al confliggere. La mediazione familiare fa prendere coscienza alle parti della cosiddetta "cattiva reciprocità", di cui parla il filosofo e antropologo francese René Girard: "Ciò che definisce il conflitto umano non è la perdita della reciprocità, ma lo scivolamento (glissement), impercettibile in un primo momento, ma poi sempre più rapido, dalla buona alla cattiva reciprocità. Questo scivolamento lo si nota appena, ma la minima negligenza, la minima dimenticanza possono alterare irreversibilmente i nostri rapporti".

La mediazione familiare tende a canalizzare l'ira affinché non diventi odio perché, col confronto diretto con l'altro confliggente (e configgente), si ha modo di metabolizzare il dolore e di avere una risposta di giustizia immediata. Così il teologo gesuita Giovanni Cucci: "L'ira, come l'odio, nasce da una tristezza presente nell'animo per un danno subìto o per la perdita di un bene ritenuto importante per la propria stima, da cui emerge la volontà di intervenire sulla situazione per cambiarla a proprio favore. Essendo animata da una richiesta di giustizia, l'ira si differenzia tuttavia dall'odio, perché è concreta e individuale, legata a una persona o ad un avvenimento preciso; l'odio invece è generalizzato, rivolto a un'intera classe sociale o categoria di persone. Inoltre, l'ira esprime un dolore occasionale, che con il tempo tende a scomparire, cosa che invece non accade nell'odio, che è sommario, globale; manca in esso la capacità di valutazione e ponderazione propria della ragione; chi ne è succube tende ad essere unilaterale, incapace di differenziare, mentre l'ira «si rivolge sempre al singolare concreto»". Da uno stato irragionevolmente unilaterale la mediazione familiare fornisce le indicazioni, come pietre miliari in un nuovo percorso di vita, per riappropriarsi delle capacità di valutazione, ponderazione, differenziazione (tutto ciò che nel gergo si chiama "self empowerment"). Nella "stanza (etimologicamente dal participio presente del verbo "stare") della mediazione" si cerca di chiudersi alle spalle tutto il resto, ci si siede, ci si guarda, si fa il punto della situazione; nel setting mediativo si torna alla bilateralità, alla ragionevolezza, ad esporre le proprie ragioni e a non a stabilire chi ha ragione. Dal coacervo delle emozioni e dei sentimenti opposti e contrapposti, la mediazione cerca di riportare alla dimensione delle relazioni e delle spiegazioni (etimologicamente "sciogliere, svolgere"): acquisire la consapevolezza del "diritto di chiedere la separazione" (art. 150 comma 3 cod. civ.), dei "fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole" (art. 151 comma 1 cod. civ.), che "la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita" (art. 1 legge 898/1970).

La coppia riconosce che non è più tale, che non s'ama più, però senza odiarsi e distruggersi. "Un'altra differenza tra ira e odio è data dalle loro rispettive modalità di espressione e soprattutto dal loro termine finale. L'ira è impetuosa e appariscente, tuttavia si arresta una volta che ha ottenuto giustizia e la riparazione del danno subìto. L'odio invece non conosce la pietà e, anche una volta annientato il suo oggetto, non sembra affatto trovare pace; esso piuttosto cresce con il tempo fino a diventare l'unica modalità di valutazione e azione, e termina soltanto con la distruzione di colui che lo coltiva. L'ira può comunque essere alla base dell'odio, nel momento in cui degenera e perde la misura e il controllo («l'odio non è altro se non ira invecchiata», notava Brunetto Latini), per cui diventa più difficile riconoscerne la gravità e pentirsene" (G. Cucci). Il consenso matrimoniale (i cui vizi sono disciplinati sia nel diritto civile sia nel diritto canonico) presuppone anche la consapevolezza di quello cui si va incontro nella vita matrimoniale, preventivando vicissitudini e mutevolezza di manifestazioni sentimentali e dinamiche relazionali. Quando nella coppia, soprattutto genitoriale, la comunicazione s'interrompe e s'innesta un meccanismo perverso di inestricabile conflittualità e non si riesce ad attingere dalle proprie risorse bisogna avere l'umiltà di rivolgersi agli altri che abbiano buonsenso, lucidità e professionalità.

L'amore coniugale porta a concordare l'indirizzo della vita familiare "secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa" (art. 144 comma 1 cod. civ.). In caso di conflittualità esasperata, la mediazione familiare fa uscire la coppia "scoppiata" dal circolo vizioso per presentare nuove prospettive in modo tale che i confliggenti formulino un progetto - in particolare educativo, quando sono presenti figli -, secondo le divergenze e sofferenze di entrambi e le esigenze preminenti della famiglia stessa, che comunque continuerà ad essere una famiglia seppur "ferita", dando un senso alla previsione di mediazione nell'art. 155 sexies cod. civ. (tra lacune e contraddizioni). Si passa così da una mediazione endogena ad una esogena per bloccare il processo di distruzione e favorire quello di ricostruzione. "Un'altra menzogna ricorrente è di ritenere che, diversamente dall'amore, l'odio consenta di prendere le distanze dalla sofferenza. In realtà esso, distruggendo il bene, corrode interiormente chi lo coltiva, rendendolo prigioniero di ricordi esasperati che si ingigantiscono con il tempo, fino a diventare una ossessione che non dà pace. La frustrazione provocata da questo vuoto genera ulteriore sofferenza, che a sua volta incrementa l'amarezza e la voglia di rivalsa. Da qui il circolo vizioso che caratterizza l'odio, e l'attrazione che esso suscita" (G. Cucci).

Perché non c'è peggior inferno del proprio incendio interiore o peggior inverno del proprio gelo interiore: ancora peggio quando non lo si vuol riconoscere e farsi aiutare da chi sfida l'incendio o il gelo e tende entrambe le mani con tutto se stesso, quali le figure professionali che si occupano delle cosiddette relazioni di aiuto, dal counseling alla mediazione familiare. "Ma la buona notizia è che se non esiste un paradiso terrestre, un luogo magico dove ogni cosa è perfetta, non c'è neppure il suo opposto. Nessun luogo è un inferno. La verità è che l'inferno, quando c'è, alberga in noi e si irradia come un faro nero su qualunque cosa facciamo, in qualunque posto andiamo, qualunque televisore al plasma possediamo" (lo scrittore Simone Perotti).

Tenendo conto dell'«interesse superiore del fanciullo", principio ispiratore e filo conduttore di ogni procedimento (art. 3 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia), Fulvio Scaparro, padre della mediazione familiare in Italia, afferma: "Non dobbiamo, però, perderci di coraggio né lasciarci intimorire dai violenti e dai prepotenti, così da non fare il loro gioco che è proprio quello di spaventarci per assoggettarci". Ai bambini non si devono trasmettere ansie, paure, disfattismo o pessimismo. I bambini hanno bisogno di sicurezza personale e familiare, aspetto non adeguatamente sottolineato nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia in cui si parla di sicurezza, ma senza riferirsi specificatamente al piccolo-grande mondo dei bambini.

Fulvio Scaparro aggiunge: "Per la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza approvata dall'Onu, i bambini dovrebbero godere in tutto il mondo di una sorta di immunità diplomatica. Dovrebbero essere protetti sempre e dovunque". I bambini dovrebbero godere di "immunità diplomatica" innanzitutto nella famiglia stessa, ma sempre più spesso non è così. Si interviene perciò in vario modo, dalla mediazione familiare all'affidamento etero familiare: "Considero la mediazione uno strumento di pace essenziale per mantenere viva ed efficiente una democrazia, soprattutto perché fa appello alle componenti adulte e responsabili delle parti coinvolte. Per quanto riguarda la mediazione in ambito familiare, occorre premettere alcune considerazioni. La sopravvalutazione della famiglia come patria comune, la "voce del sangue", i doveri di lealtà familiare, finiscono con il trasformare la famiglia nel luogo del "dovere", delle relazioni imposte e burocratizzate, dei ruoli fissi e immutabili come maschere nel tempo" (Fulvio Scaparro). Attraverso la mediazione familiare i genitori sono portati anche a rendersi conto del cosiddetto "conflitto di lealtà" che provano i figli (in semplici parole, per quale genitore parteggiare) e a rispettare quanto previsto nell'art. 315 bis cod. civ. (inserito dalla legge 219/2012), in particolare l'assistenza morale ai figli e il mantenimento dei loro rapporti significativi con i parenti.

La mediazione familiare è un processo in cui si elaborano e rielaborano le attuali relazioni sfilacciate, anche con l'uso di brani di film e fotografie familiari (esiste anche la fototerapia relazionale), per giungere ad un unico filo conduttore cui riallacciarsi per un progetto condiviso, anche per ridare storia e memoria familiare ai figli. "Poiché - come spiega la psicologa Marcella Ravenna - ogni partner elabora una storia in base alla sua prospettiva, le storie che risultano spesso non coincidono e si modificano continuamente in rapporto allo svolgersi degli avvenimenti. Va poi considerato che, proprio perché tali storie costituiscono la "realtà" di una relazione (sia essa di amore o di odio), non vi può essere al riguardo alcuna "verità obiettiva": ciò significa, in altre parole, che possiamo conoscere la relazione che abbiamo con il nostro partner solo tramite la storia che elaboriamo a proposito di essa". Come dal big bang è nato l'universo, così dal big bang con l'altro nasce un universo di emozioni, anche contrastanti ma tutte importanti. In simil modo la conflittualità purché non divenga violenza e odio: questo anche il senso dell'intervento della mediazione familiare.

L'attività mediativa fornisce la "grammatica dei conflitti" per una nuova lettura: "A volte, a fare la differenza può essere un incontro, l'istante in cui gli orizzonti di due persone molto diverse tra loro entrano in collisione" (la scrittrice Michela Murgia). In qualsiasi relazione interpersonale non è mai troppo tardi per un "noi", finché si è in due a volerlo e a farlo: la mediazione familiare opera per passare da un "noi", coppia di vita, ad un "noi", genitori per sempre. In due si comincia, in due si finisce.

Credere fermamente nella mediazione familiare non tanto (o non solo) come professione, ma come processo di cui ognuno può essere autore e fautore, soprattutto se si crede nella tutela dell'infanzia e in altri valori. Alcune figure professionali, tra cui quella del mediatore familiare, non possono essere considerate un modo qualsiasi per risolvere la disoccupazione o la panacea di alcuni mali annosi, ma devono essere considerati ed esercitati solo per vocazione, missione, passione e nel massimo rispetto della vita, perché fonti di nuova vita familiare, relazionale e sociale.

Dal conflitto ("urtare insieme") al confine ("limite insieme"), dall'invadersi al lambirsi, dallo scontrarsi all'accomunarsi: questo è il traghettamento operato dalla mediazione, ancor di più dalla mediazione familiare.


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