La sentenza emessa il 28 settembre 2016 dal Tribunale di Taranto - Giud. Claudio Casarano - esclude che il recesso da un contratto con operatori di telefonia possa comportare un costo
di Paolo M. Storani - Dedico questa illuminante pronuncia all'amico Germano Marsili, fotografo di razza, alacremente alle prese con problematiche similari; la sentenza è la n. 2707 del 28 settembre 2016 adottata dal Tribunale di Taranto in composizione monocratica - giudice dott. Claudio Casarano.

In essa si esclude che il recesso da un contratto stipulato con operatori di telefonia possa comportare un costo.

Ecco uno stralcio significativo della motivazione:

"Il recesso non può comportare per legge dei costi, comunque denominati e neanche indiretti.

Occorre muovere dal dettato legislativo dalle parti evocato e cioè dall'art. 1, co. III della legge n. 40/2007, che convertiva il decreto legge n. 7-2007(c.d. decreto Bersani): "I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia…devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto e di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate dai costi dell'operatore …"

Come reso palese dalla lettera della norma ma soprattutto dall'intenzione del legislatore il recesso in parola non deve comportare un costo(vedi art. 12, I co., delle Preleggi:"Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore").

L'intento del legislatore evidentemente è quello di favorire la concorrenza piena nel mercato della telefonia eliminando i costi correlati al recesso operato dall'utente - parte debole del rapporto.

Il costo di disattivazione o a maggior ragione quello di migrazione, posto che in quest'ultimo caso si ha un passaggio dell'utente ad altro operatore, di per sé non può giustificarsi, alla luce del precetto normativo sopra evocato, perché si finirebbe per rendere oneroso il recesso, che invece la legge ha voluto gratuito.

Solo i costi diversi e quindi quelli non strettamente correlati al recesso - ed all'operazione conseguente della disattivazione - potrebbero essere sopportati dall'utente.

Ad essere altrimenti infatti verrebbe svuotata di contenuto precettivo la norma del decreto Bersani sopra richiamata (c.d. interpretazione abrogatrice).

Insomma l'espressione, non tanto felice, usata dal legislatore "e senza spese non giustificate dai costi dell'operatore…non può essere interpretata nel senso di privare di contenuto precettivo la prima parte, il "senza spese", attraverso l'espressione, apparentemente contraddittoria, "non giustificate dai costi dell'operatore"; altrimenti attraverso quest'ultima breccia si farebbe passare di tutto, come faceva l'appellante: anche i costi della Rete Telecom, come se non fossero invece causalmente collegati al canone…".


Il testo integrale della sentenza:


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


TRIBUNALE DI TARANTO - II SEZIONE CIVILE

In composizione monocratica, in grado d'appello, dott. Claudio Casarano

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 637 R.G. anno 2016 Affari Civili Contenziosi promossa da:

Wind Telecomunicazioni S.p.A. - rappresentata e difesa dall'avv…

CONTRO

A.D. - rappresentato e difeso dall'avv...

OGGETTO: "Somministrazione".

Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti riportate e qui da intendersi richiamate;

MOTIVI DELLA DECISIONE

IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA PROPOSTA DAVANTI AL GIUDICE DI PACE

Il sig. D con citazione regolarmente notificata conveniva davanti al Giudice di Pace di Taranto la Wind Telecomunicazioni S.p.A..

Lamentava l'istante che con l'ultima fattura la convenuta, oltre al regolare canone, gli avesse addebitato illegittimamente euro 35.00 per attività di migrazione verso altro operatore ed euro 33,06 + I.V.A. per contributo vendita apparato.

L'attore sosteneva che la prima somma non era dovuta ai sensi dell'art. 1, co. III della legge n. 40/2007, che convertiva il decreto legge n. 7-2007(c.d. decreto Bersani): "I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia…devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto e di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate dai costi dell'operatore e non possono imporre l'obbligo di preavviso superiore a trenta giorni".

Relativamente all'altro costo in fattura contestato, l'attore sosteneva che nel contratto non era stato previsto a carico dell'utente alcun obbligo di acquisto dell'apparecchio telefonico, che infatti gli era stato dato in comodato gratuito.

Pagata la fattura intera, comprensiva quindi anche dei due costi contestati, al solo scopo di evitare la morosità, aggiungeva l'attore, proponeva invano reclamo teso ad ottenere il rimborso della somma indebitamente versata di euro 75,00, non avendo fatto seguire la Wind alcuna risposta; e tanto in violazione anche dell'art. 8, co. IV, della Del. N. 179-03-CSP.

L'attore, a quest'ultimo proposito, ricordava che ai sensi dell'art. 11 della delibera n. 73-11- Cons per ogni giorno di ritardo nella risposta l'operatore è tenuto a pagare 1,00 euro fino ad un massimo di trecento euro; rimaste senza esito le richieste di chiarimenti, opinava la difesa istante, aveva così maturato a tale titolo un credito di euro 300,00.

L'attore in definitiva chiedeva la condanna al pagamento della somma di euro 75,00 per i due costi della fattura ritenuti non dovuti, euro 300,00 per l'indennizzo sopra descritto ed euro 200,00 a titolo di risarcimento di danni.

LA DIFESA CONVENUTA

La Wind sosteneva che proprio la norma evocata da controparte giustificava in realtà il costo di euro 35,00 addebitato al cliente per l'avvenuto passaggio dell'utente ad altro operatore; si trattava cioè del costo che comportava prima la disattivazione della linea telefonica e quindi la sua riattivazione in favore del nuovo operatore.

Aggiungeva che tale costo, peraltro ridotto rispetto a quanto accadeva un tempo, era stato pure approvato dall'AGCOM.

Ricordava poi i numerosi costi che sopportava per l'utilizzo della rete di appartenenza della Telecom, al pari di quel che facevano altri operatori, e tanto anche per la operazione di disattivazione in discorso.

Senza contare, aggiungeva, i costi del personale impegnato per quest'ultima incombenza; in particolare sosteneva che proprio la disattivazione o migrazione del proprio abbonato ad altro operatore implicava la gestione manuale del servizio da parte del personale addetto.

Infine ricordava che il costo era pure previsto dalle condizioni generali di contratto.

Per quel che concerne il contributo per la vendita dell'apparato ricordava che in caso di disattivazione anticipata il cliente si era impegnato ad acquistare l'apparato dato in comodato (art. 6.3 condizioni generali di vendita); risultava così giustificato sul piano causale anche il contributo vendita.

Contestava infine la fondatezza della domanda risarcitoria.

LA SENTENZA APPELLATA

Il Giudice di Pace con la sentenza impugnata accoglieva la domanda principale condannando la Wind alla ripetizione della somma di euro 75,00 ed al pagamento della somma di euro 300,00 a titolo di indennizzo; rigettava quindi la domanda risarcitoria.

Con l'appello la Wind chiedeva la integrale riforma della sentenza, mentre l'appellato ne chiedeva la conferma.

Alla prima udienza la causa veniva riservata per la decisione, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e repliche.

IL RECESSO NON PUÒ COMPORTARE PER LEGGE DEI COSTI, COMUNQUE DENOMINATI E NEANCHE INDIRETTI

Occorre muovere dal dettato legislativo dalle parti evocato e cioè dall'art. 1, co. III della legge n. 40/2007, che convertiva il decreto legge n. 7-2007'(c.d. decreto Bersani): "I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia…devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto e di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate dai costi dell'operatore …"

Come reso palese dalla lettera della norma ma soprattutto dall'intenzione del legislatore il recesso in parola non deve comportare un costo (vedi art. 12, I co., delle Preleggi: "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore").

L'intento del legislatore evidentemente è quello di favorire la concorrenza piena nel mercato della telefonia eliminando i costi correlati al recesso operato dall'utente - parte debole del rapporto.

Il costo di disattivazione o a maggior ragione quello di migrazione, posto che in quest'ultimo caso si ha un passaggio dell'utente ad altro operatore, di per sé non può giustificarsi, alla luce del precetto normativo sopra evocato, perché si finirebbe per rendere oneroso il recesso, che invece la legge ha voluto gratuito.

Solo i costi diversi e quindi quelli non strettamente correlati al recesso - ed all'operazione conseguente della disattivazione - potrebbero essere sopportati dall'utente.

Ad essere altrimenti infatti verrebbe svuotata di contenuto precettivo la norma del decreto Bersani sopra richiamata(c.d. interpretazione abrogatrice).

Insomma l'espressione, non tanto felice, usata dal legislatore "e senza spese non giustificate dai costi dell'operatore…"non può essere interpretata nel senso di privare di contenuto precettivo la prima parte, il "senza spese", attraverso l'espressione, apparentemente contraddittoria, "non giustificate dai costi dell'operatore"; altrimenti attraverso quest'ultima breccia si farebbe passare di tutto, come faceva l'appellante: anche i costi della Rete Telecom, come se non fossero invece causalmente collegati al canone.

IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO DELLA NORMA INTRODOTTA DAL DECRETO BERSANI COME CONFERMA DELLA INTERPRETAZIONE SULLA GRATUITÀ DEL RECESSO

Si deve poi considerare che l'interpretazione preferita, che tende a valorizzare il carattere innovativo del disposto normativo in parola nel senso della gratuità del recesso - e che ebbe al momento dell'approvazione legislativa anche un certo clamore mediatico proprio perché fu percepita come una norma di equità per la parte debole del rapporto - ben si concilia con il quadro normativo di riferimento preesistente, che già proteggeva il contraente debole: vuoi con la disciplina ex art. 1341 e 1342 c.c., vuoi con la previsione di nullità c.d. di protezione, ex art. 33 della legge 203 del 2005 (codice del consumo), in tema di clausole vessatorie dalla stessa norma tipizzate o tali perché creano uno squilibrio contrattuale.

In altri termini non garantendo questo quadro normativo preesistente la tutela del contraente debole per il solo fatto che una clausola preveda costi per il recesso - vuoi perché è sufficiente in un caso rispettare la forma ex art. 1341 c.c, vuoi perché non può essere considerata iniqua ex art. 33 citato - la legge ha voluto introdurre una ulteriore norma di favore per l'utente nel senso della necessaria gratuità del recesso.

RILIEVO DI ALTRA FORMA DI INEFFICACIA DELLA CLAUSOLA CHE PREVEDE UN COSTO PER IL RECESSO, OLTRE CHE PER QUELLA CHE PREVEDE UN CONTRIBUTO PER LA VENDITA DELL'APPARECCHIO TELEFONICO IN CASO DI RECESSO: VIOLAZIONE DELLA DISCIPLINA EX ART. 1341 C.C.

Peraltro si tratta di clausola - al pari di quella relativa al contributo per la vendita dell'apparecchio - non inserita nell'originario contratto; esse venivano infatti inserite nelle c.d. condizioni generali, tuttavia solo in un secondo momento venute in essere.

Come a dire che non risultano essere state conosciute o rese conoscibili al contraente al momento della conclusione del contratto ex art. 1341, I co., c.c.: "…sono efficaci se al momento della conclusione del contratto le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza".

A nulla vale quindi opinare, come fa la difesa appellante, che venivano i costi approvati da AGCOM, sul cui sito potevano facilmente essere conosciute dagli abbonati.

Si tenga presente che i costi in parola venivano addebitati con l'ultima fattura e solo allora ne veniva a conoscenza l'utente; a tal proposito la difesa appellata ricordava che in materia la Wind avrebbe dovuto portare a conoscenza del proprio assistito la modifica in peius con le modalità prescritte dall'art. 70, IV co., del d.lgs. n. 259/2003: "Gli abbonati sono informati con adeguato preavviso, non inferiore ad un mese, di tali eventuali modifiche e sono informati nel contempo del loro diritto di recedere dal contratto senza penali, qualora non accettino le nuove condizioni".

Ma la tutela in questo caso per l'utente è più stringente, posto che si tratta di clausole, quelle relative ai costi in discorso, non conoscibili al momento della stipula - ma conosciute solo con l'ultima fattura dopo l'esercizio del recesso - e quindi inefficaci.

INAMMISSIBILITÀ DELL'APPELLO RELATIVO DAL RICONOSCIMENTO DELL'INDENNIZZO DI EURO 300,00

Come si desume dall'atto di appello il punto veniva preso in considerazione solo in sede delle conclusioni: "Infine condannare parte appellata alla restituzione di tutti gli importi a qualsiasi titolo corrisposti dalla Wind Telecomunicazioni s.p.a. in suo favore, quale conseguenza della sentenza di primo grado".

Non essendo state esplicitate le ragioni della riforma del capo in parola, segue l'evidente inammissibilità dell'appello sotto il profilo da ultimo esaminato ai sensi dell'art. 342 c.p.c..

La sentenza appellata va dunque confermata in toto e le spese di questo grado devono essere sopportate dall'appellante; si liquidano poi come in dispositivo, anche tenuto conto dell'effettiva attività svolta.

P.T.M.

Definitivamente pronunziando sull'appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Taranto, n. 730 del 09-07-2015, proposto dalla Wind Telecomunicazioni S.p.A., con citazione regolarmente notificata, nei confronti del Sig. D, dichiarato inammissibile il motivo di appello relativo al capo relativo all'indennizzo di euro 300,00, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:

Rigetta l'appello e conferma la sentenza impugnata;

Condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali sopportate dall'appellato, che si liquidano per compenso professionale, in suo favore, in euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

TARANTO, 28 settembre 2016

Il Giudice - dott. Claudio Casarano

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