Per la Cassazione, l'accusa scredita l'immagine e il prestigio dell'azienda per cui il dipendente lavora

di Lucia Izzo - Legittimo il licenziamento del dipendente che riferisce al soggetto preposto alla verifica e alla prevenzione di eventuali reati (c.d. Internal Auditor) fatti compromettenti riguardanti il datore di lavoro idonei a screditare l'immagine e il prestigio dell'azienda per cui lavora. 


Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza n. 10943/2016 (qui sotto allegata).

In sede di merito, era stata respinta sia in primo che in secondo grato la domanda del ricorrente, volta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla srl alle cui dipendenze aveva lavorato con mansioni di direttore regionale.


Ha spiegato la Corte territoriale che all'esito dell'istruttoria era risultato veritiero l'illecito disciplinare contestato all'appellante, vale a dire quello di aver riferito all'addetto alla verifica e prevenzione di eventuali reati societari "ex lege" n. 231/2001, dei fatti che screditavano gravemente l'immagine ed il prestigio dell'azienda datrice di lavoro, accusata di aver fatturato in eccesso le ore di lavoro prestate nell'ambito di un contratto d'appalto del servizio di pulizia presso un policlinico universitario, con conseguente lesione del vincolo fiduciario tra il dipendente e la datrice di lavoro. 


Come avvalorato della prova testimoniale i fatti oggetto di contestazione disciplinare erano risultati fondati poiché il ricorrente aveva riferito al preposto alla verifica e prevenzione di eventuali reati societari la circostanza che la sovrafatturazione era stata autorizzata da dirigente aziendale, la cui veridicità non era emersa in sede processuale; ciò, secondo i giudici, costituiva un comportamento gravemente lesivo del vincolo fiduciario per il discredito che procurava alla datrice di lavoro, tenuto conto anche della posizione di rilievo ricoperta in azienda dal medesimo appellante

Il ricorso del dipendente deve, pertanto, essere rigettato.

Cass., sezione lavoro, sent. n. 10943/2016

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