Bacchettata del tribunale di Milano anche nei confronti degli avvocati che non devono assecondare diverbi privi di rilevanza

di Marina Crisafi - Non si può andare dal giudice per ogni questione che sorga nella gestione dei figli tra i genitori in corso di separazione. E i legali che difendono le parti dovrebbero dare il loro contributo, anziché assecondare "diverbi privi di concreta rilevanza". A bacchettare genitori e avvocati ci ha pensato il tribunale di Milano, con l'ordinanza emessa il 23 marzo scorso dalla nona sezione civile (giudice Giuseppe Buffone) chiamato da una coppia in fase di separazione a chiarire il momento in cui il figlio doveva essere riaccompagnato dal collocatario alla fine delle vacanze di Pasqua. Nello specifico, se la fine del "periodo pasquale" coincideva con la sera del lunedì dell'Angelo o meno.

È inammissibile portare all'attenzione del giudice questi diverbi, ha affermato il tribunale milanese, anche perché il modello risolutivo ex art. 709-ter c.p.c. serve a risolvere questioni essenziali per il minore, come l'educazione, la salute e la residenza e non a decidere quanto dura il soggiorno nel periodo delle vacanze o altre "beghe" familiari come la delega al parente che deve andare a prendere il minore a scuola o addirittura sul taglio di capelli o sui vestiti indossati dai figli.

Non solo, quindi, richieste del genere fanno scattare l'inammissibilità della richiesta, ma soprattutto il giudice può trovarsi costretto a limitare, in presenza di una tale "conflittualità patologica" della coppia, ex art. 333 c.c. la responsabilità genitoriale, delegando al comune la funzione di rappresentanza del minore al posto degli ex partner.


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