La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza dello scorso 2 luglio, ha stabilito che ?l'attitudine al lavoro proficuo, come potenziale capacità di guadagno, appartiene certamente al novero degli elementi valutabili dal giudice della separazione per definire la misura dell'assegno, dovendo egli considerare a tal fine non soltanto i redditi in denaro, ma anche ogni utilità o capacità propria dei coniugi, suscettibile di valutazione economica. Ma il mancato sfruttamento della supposta attitudine al lavoro non equivale ad un reddito attuale né, di per sé ed in modo univoco, lascia presumere la volontaria ripulsa di propizie occasioni di reddito?. Sul punto, i Giudici di Piazza Cavour precisano infatti che l'inattività lavorativa ?non necessariamente è indice di scarsa diligenza nella ricerca di un lavoro, finché non sia provato, ai fini della decisione sull'assegno, il rifiuto di una concreta opportunità di occupazione: solo in tal caso lo stato di disoccupazione potrebbe essere interpretato, secondo le circostanze, come rifiuto o non avvertita necessità di un reddito; il che condurrebbe ad escludere il diritto di ricevere dal coniuge a titolo di mantenimento, le somme che il richiedente avrebbe potuto ottenere quale retribuzione per l'attività lavorativa rifiutata o dismessa senza giusto motivo?. In buona sostanza, la teorica possibilità del coniuge privo di reddito di reperire un'occupazione non elide di per sé il dovere di solidarietà ed il conseguente obbligo di condivisione dei beni e di sostegno verso il coniuge più debole.

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