Per la Cassazione, a prescindere dalla riunione delle cause l'onorario resta unico, fermo restando l'incremento percentuale in base alla prestazione

di Marina Crisafi - Dodici cause ma un solo compenso per l'avvocato che segue giudizi comportanti attività ripetitive e dove le controparti hanno la medesima posizione processuale. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 17147/2015, pubblicata ieri (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di due legali che incaricati dal commissario liquidatore di difendere in dodici cause diverse un consorzio di cooperative edili si erano trovati di fronte all'amara sorpresa di un'unica e ben poco sostanziosa liquidazione rispetto a quanto originariamente richiesto. I due, infatti, avevano redatto 12 autonome parcelle (una per giudizio), chiedendo 4.321 euro per ciascuna per un importo globale di quasi 52mila euro, con applicazione degli importi stabiliti dal d.m. n. 127/2004.

Ma il tribunale di Latina ne liquidava in tutto 8mila (di cui 4.900 per onorari e 3mila per l'attività professionale) adducendo che anche se le cause (riguardanti reclami ex artt. 624 e 669 terdecies cpc) non erano state riunite, si trattava di incarico professionale riguardante un unico cliente relativo a questioni del tutto similari, con procedimenti distinti relativi a una pluralità di parti aventi identica posizione processuale e le difese svolte erano state del tutto identiche, per cui andava comunque liquidata un'unica parcella, eventualmente aumentata nella misura prevista dalle tariffe.

A conforto della sua tesi, richiamava l'orientamento della Cassazione (n. 15757/2001) secondo cui il criterio a suo tempo riportato nel dm 392/1990 pur non richiamato nel successivo 585/1994, poteva comunque essere utilizzato dal giudice come orientamento nella valutazione comparativa dell'attività difensiva svolta dall'avvocato, essendo la stessa idonea a definire l'importanza delle questioni trattate.

I due legali ovviamente non ci stanno e ricorrono in Cassazione, lamentando la liquidazione unitaria consentita anche nel caso di distinti giudizi soltanto dal d.m. 392/1990 e non invece dal d.m. n. 127/2004, applicabile al caso di specie.

Ma piazza Cavour avalla l'operato del giudice di merito, affermando che contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il tribunale non ha affatto applicato né il dm del 1990 né quello del 1994 richiamando soltanto l'indirizzo della giurisprudenza e ritenendo che, nel caso di specie, in base all'art. 5, comma 4 del d.m. n. 127/2004, potesse liquidarsi un unico onorario.

Pur senza "diffusamente" motivare sul punto, per la Suprema Corte, nella fattispecie, l'incarico di difendere l'ente in un giudizio per reclamo ex artt. 624 e 669 terdecies cpc, promosso da 12 diverse parti avverso un'unica ordinanza del giudice dell'esecuzione (di rigetto della sospensione dell'esecuzione), nell'ambito di un'unica procedura esecutiva immobiliare, significava aver seguito "12 giudizi identici, con difese identiche e identico iter processuale", peraltro trattati contemporaneamente nelle stesse udienze con evidenti economie e ripetitività delle attività procuratorie.

Ha ragione, dunque, il tribunale a ritenere che l'art. 5 del d.m. n. 127/2004 in una lettura estensiva, non escluda la possibilità di liquidare unitariamente la parcella, "essendo sostanzialmente equiparabile la posizione di chi difenda più persone aventi posizioni processuali identiche a quella di chi difenda una sola parte nei confronti di più parti in situazioni processuali del tutto identiche seppur a fronte di cause non riunite", non potendo l'onere della mancata riunione "essere posto a carico del cliente", e di aumentare percentualmente l'unico onorario "soltanto se la prestazione abbia comportato l'esame di particolari situazioni di fatto o di diritto".

Quanto affermato, del resto, è conforme ai principi generali "che ispirano la liquidazione dei compensi degli avvocati (corrispondenza ed adeguatezza dell'onorario del professionista all'opera effettivamente prestata)".

Per cui, ricorso rigettato, ma almeno gli avvocati hanno evitato di pagare le spese.

Cassazione, sentenza n. 17147/2015

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