Il senso del termine "maggioranza" in una riflessione di Angelo Casella

Dell'argomento ci siamo già occupati in altra sede, trascurando peraltro di sottolinearne un requisito che, siccome pacifico e scontato, sembra però sia ora addirittura uscito dal quadro delle evidenze per essere così obliterato dal quadro concettuale.

Oggi, con la valanga di sciocchezze che si dicono - e si fanno - citando il principio di maggioranza, diventa imperativo sottolineare anche ciò che di esso è pur di lapalissiana necessità speculativa.

"Maggioranza", certo, significa formalmente prevalenza di numeri. In un certo gruppo, nell' ambito di un processo decisionale collettivo, una proposta di comportamento comune viene acquisita quando riscuote il favore della maggioranza dei membri.

Ma qui sta il punto. Ad ogni "unità numerica" corrisponde una testa, una persona, ed è possibile conteggiarla solo ove esprima una volizione, ed una corrispondente scelta, in totale libertà ed autonomia.

Se nel gruppo impegnato a decidere vi è qualcuno che su tutti o parte dei componenti può esercitare un qualche potere di coazione tale da annullarne il libero ed indipendente meccanismo di formazione volitiva, il principio di maggioranza non è applicabile. Perché viene a cessare la pluralità delle "teste" e quindi perché interviene la scomparsa del "gruppo" cui applicare il principio stesso.

Insomma, la "maggioranza" è la somma di volontà individuali libere ed autonome. Ed in questo risiede la sua validità intrinseca. Non è la massa pesata quantitativamente, ma il numero delle singole, separate, espressioni volitive libere.

Ove si verifichi che la convergenza delle volontà avvenga per obbedienza, soggezione, subordinazione o calcolo di convenienza, saremmo di fronte non ad un concorso di volizioni, ma all'ossequio ad una volontà (o all' intervento di un fattore estraneo all'oggetto specifico della decisione e che inquina il processo decisionale). In tal caso, il conformismo ad una idea dominante (o qualunque patologia della volizione) esclude ipso facto il principio di maggioranza che, come intuitivo, presuppone la formazione indipendente in ogni membro del gruppo, di una volontà personale e libera.

Ed è questo termine, personale, che definisce qualitativamente la volontà del singolo. Perché tale può classificarsi solo la valutazione e decisione maturate in piena autonomia e libertà di coscienza.

L'orientamento decisionale espresso nel voto è un negozio giuridico. Come tale postula una volontà vera, seria ed autonoma. Ogni elemento perturbatore nella formazione o espressione di siffatta volizione ne annulla insanabilmente la validità.

Nelle nostre aule parlamentari (come in qualsiasi collegio decisionale), il senso ed il valore della pluralità dell'organo, risiede proprio nell'esigenza di disporre di una variegata manifestazione di opinioni individuali.

L'ovvietà è di fronte ai nostri occhi: perché ci sono centinaia (fin troppi...) parlamentari? Per disporre di decisioni collegiali che siano il frutto dell'apporto di tante valutazioni individuali. In quanto è dalla diversità delle opinioni che si genera una decisione collettiva più consapevole e più meditata.

Se questa diversità viene a mancare per opera di influssi esterni al soggetto pensante, viene a mancare quella pluralità che costituisce la ragion d'essere dell'organo collegiale.

La facoltà volitiva individuale espressa nella volizione specifica liberamente formata, deve, in definitiva, costituire il fondamento della scelta espressa.

In questo processo formativo non deve intervenire nessun antecedente causale che si connetta a fattori ed influenze concettualmente estranee all'oggetto specifico.

Sul piano pratico, può non essere agevole riconoscere alcune lontane alterazioni di questo processo, ma certamente è assai facile individuare quelle vicine e macroscopiche, specie se addirittura dichiarate, come il grottesco (ed anticostituzionale) invito alla "fedeltà" (?) al partito.

Ma come si osa affermare che una legge è stata approvata a maggioranza, quando questa pretesa maggioranza è formata con un premio elettorale? Parlare in tal caso di maggioranza è espressione priva di senso proprio. E' un utilizzo del termine mistificatorio perché distorsivo del suo significato.
In effetti, non si tratta di "maggioranza dei consensi" (come si intende per maggioranza), in quanto con il "premio" vengono artificiosamente moltiplicati quelli del gruppo politico beneficiario. Questa "maggioranza" contraffatta può esprimere solo una volontà finta e adulterata.
E' come dire: gli eletti che voi vedete sono tre, ma in realtà sono 5...
In verità, gli eletti REALI sono quelli indicati dai cittadini.
L'operazione ignobile del "premio" è una falsificazione e una truffa. Una alterazione della volontà popolare ed un affronto agli elettori. Una mistificazione elettorale che degrada la democrazia.



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