Corte di Cassazione n. 2400 del 9/2/2015

Unioni gay - Corte di Cassazione Sentenza n. 2400 del 09/02/2015

Presidente Dott.ssa M.G. Luccioli - Relatore Dott.ssa M. Acierno

nota Avv. Emanuela Foligno

È legittima la mancata estensione del regime matrimoniale (nella specie, della possibilità di procedere alle pubblicazione di matrimonio) alle unioni omoaffettive in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 138 del 2010 della Corte Costituzionale, il cui approdo non può ritenersi superato dalle successive decisioni della Corte di Strasburgo, ancorché il sicuro rilievo costituzionale, ex art. 2 Cost., di tali formazioni sociali presupponga - come anche ribadito nella successiva sentenza n. 170 del 2014 della Corte Costituzionale - l'individuazione di adeguate forme di garanzia e di riconoscimento, la cui determinazione appartiene alla discrezionalità del legislatore.

Con la recente pronunzia qui in commento la Suprema Corte dice ancora no al matrimonio omosessuale, almeno fino a che il parlamento non avrà espressamente previsto di estendere l'unione matrimoniale a persone dello stesso sesso.

La decisione trae origine dalla richiesta di pubblicazioni del matrimonio di due uomini avanzata all'Ufficiale dello Stato Civile del comune di Roma.

Sul diniego alle pubblicazioni, la coppia ricorre alla Corte di Appello di Roma, evidenziando che non vi sono riferimenti espliciti al requisito della diversità di sesso tra gli sposi nelle norme costituzionali e codicistiche. La coppia evidenzia dinnanzi alla Corte territoriale, altresì, che il rifiuto alle pubblicazioni integra la violazione dell'art. 2 della Costituzione, che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, e dell'art. 3 che dichiara la pari dignità e uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni.

La Corte d'Appello di Roma rigetta il reclamo con motivazioni sovrapponibili agli ultimi orientamenti della giurisprudenza in materia, anche con riferimento ai recenti casi di divieto di trascrizione in Italia di matrimoni omosessuali contratti all'estero.

Nel provvedimento la Corte d'Appello evidenzia che sulla questione d'incostituzionalità delle norme che regolano l'istituto del matrimonio in Italia, si è già pronunciata la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010, che ha affermato l'assoluta discrezionalità del legislatore nazionale nella materia matrimoniale.

La vicenda approda in cassazione.

I due uomini sostengono in primo luogo la violazione degli artt. 3,10 e 117 1° comma della Costituzione nonché dell'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dell'art. 12 della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo.

Nel ricorso viene richiamata una decisione della stessa Cassazione, la sentenza n. 4184/2012, con la quale la Corte aveva affermato che l'art. 12 CEDU "ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso tra gli sposi", alla luce dell'art. 9 della Carta che garantisce a tutti il diritto di sposarsi e di formare una famiglia. Viene, inoltre, evidenziato in modo cristallino e pertinente che la Cassazione del 2012 citata, pur rigettando il ricorso volto ad ottenere la trascrizione del matrimonio celebrato all'estero, ammette se pur come obiter dictum, che la diversità di sesso quale requisito minimo indispensabile per la stessa esistenza del matrimonio, non è più adeguata all'attuale realtà giuridica.

Secondo i ricorrenti, non è sufficiente, inoltre, il riconoscimento di tutela alle unioni omosessuali quali formazioni sociali di cui all'art. 2 della Costituzione, poiché solo col matrimonio si acquisiscono una serie di diritti e di doveri.

Ne consegue che dovrebbero essere oggetto di sindacato costituzionale le norme di cui agli artt. 107, 108, 143, 143 bis, ter, 156 bis del codice civile per:

Viene, infine, evidenziato che l'efficacia vincolante dei principi di cui alla Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo non rende necessario l'intervento legislativo.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

In primo luogo, la Corte precisa che il caso in questione è stato già sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale nel 2010 e ribadisce che le norme codicistiche pongono alla base del matrimonio la diversità di sesso dei coniugi.

E', dunque, costituzionalmente legittimo il divieto di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, ed è rimessa alla piena discrezionalità del Parlamento individuare forme di garanzia, basate sull'art. 2 della Costituzione, e di riconoscimento delle unioni tra persone omosessuali.

La Suprema Corte chiarisce che sia l'art. 12 della Convenzione sia l'art. 9 della Carta, lasciano al legislatore nazionale un margine di discrezionalità nella scelta delle forme e della disciplina giuridica dell'unione matrimoniale.

Non è corretto affermare, secondo la Corte, che la mancata estensione del modello matrimoniale alle persone dello stesso sesso, costituisca una lesione della dignità umana e dell'uguaglianza, che sono ugualmente tutelate nelle situazioni individuali e nelle situazioni relazionali rientranti nelle formazioni sociali costituzionalmente protette dagli articoli 2 e 3 della Costituzione.

L'unione omosessuale quale stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, rientra nelle formazioni sociali, e dà diritto - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - ad un riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.

Inoltre la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (nelle recenti sentenze Schalk and Kopf c. Austria del 24 giugno 2010, Gas e Dubois c. Francia del 15 marzo 2012 e Hamalainen c. Finlandia del 16 luglio 2014) ha ribadito il principio del margine di apprezzamento degli Stati membri.

Anche se l'art. 12 della Convenzione non esclude che gli Stati estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, tuttavia non prevede nessun obbligo in tal senso.

Così come pure l'art. 8, che sancisce il diritto alla vita privata e familiare, tra cui può essere ricompresa una relazione affettiva tra persone dello stesso sesso protetta dall'ordinamento, ma non necessariamente mediante l'istituto matrimoniale.

Questa esigenza, unitamente all'insussistenza dell'obbligo di estendere il vincolo coniugale alle unioni gay è stata ribadita anche nel 2014 dalla Corte Costituzionale (n. 170/2014), ove è stata dichiarata l'illegittimità della disciplina che fa conseguire automaticamente alla rettificazione del sesso lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio senza prevedere per l'unione divenuta gay, un riconoscimento di diritti e doveri che ne consenta la conservazione in una visione coerente con l'art. 2 Cost. e con l'art. 8 Cedu. Il Giudice delle leggi, nella citata pronunzia, ha evidenziato che il contrasto si determina per il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza che detrmina la necessità di un tempestivo intervento legislativo.

Conclude la Suprema Corte che nel nostro sistema giuridico il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti poiché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Può, tuttavia, acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione in questione.

Come visto, dunque, nel sistema giuridico italiano il matrimonio gay non può produrre effetti giuridici (ndr né civili né religiosi) poiché non previsto da nessuna norma.

Può però ricevere una tutela uguale a quella matrimoniale tradizionale qualora la mancanza di norme sul punto determini una lesione dei diritti fondamentali che scaturiscono dalla relazione.

Sommessamente pare proprio che la chiusa della pronunzia qui esaminata contenga una evidente antinomia.

Prima la Corte ribadisce che il matrimonio gay non produce nessun effetto per mancanza di previsione di legge e, successivamente, afferma che in caso di lesione di diritti fondamentali che scaturiscono, appunto, dalla mancanza di una legge, la coppia gay può acquisire un grado di protezione e di tutela equiparabile a quello matrimoniale.

Ebbene che venga chiarito, allora, quali possono essere queste protezioni e queste tutele.

E' comunque chiaro il fatto che l'Italia è l'unico Paese europeo che non ha ancora legiferato in materia di unioni omosessuali.

In Europa, il matrimonio tra persone dello stesso sesso (same-sex) è stato riconosciuto in dieci Stati (Islanda, Gran Bretagna ad esclusione dell'Irlanda del Nord, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia). Negli Stati Uniti, oltre allo stato di New York in cui il same-sex marriage è stato legalizzato con il Marriage Equality Act del 24.6.2011, sedici stati già lo riconoscono, e risultano pendenti più di trenta procedimenti giudiziari volti ad ottenere il riconoscimento del diritto di contrarre matrimoni omosessuali. E' infine ammesso in Brasile, Argentina, Uruguay, Sudafrica, Canada e Nuova Zelanda.

Avv. Emanuela Foligno - via Piermarini n. 8 - 20145 Milano - studiolegale.foligno@virgilio.it Twitter @EmanuelaFoligno

Corte di Cassazione testo sentenza 2400/2015

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