Per la giurisprudenza della Cassazione, la sottrazione del cellulare del partner al fine di visionarne il contenuto integra il delitto di rapina

di Marina Crisafi - Il "vizietto" di controllare il cellulare dell'altro, per spiare telefonate e messaggi e scoprire se ci nasconde qualcosa (è inutile negarlo) in amore non risparmia nessuno. Ma è meglio controllare i propri istinti "gelosi" perché possono trasformarsi in una condotta punibile penalmente e, in particolare, integrare il reato di rapina. 

Nell'impossessarsi della cosa altrui, perseguendo esclusivamente un'utilità morale (consistente, appunto, nel visionare i messaggi contenuti nel telefono), è da ritenersi sussistente, infatti, l'ingiustizia del profitto richiesta dal reato, in quanto si tratta di finalità antigiuridica che viola il diritto alla riservatezza e incide sul bene primario dell'autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane. 

Applicando questi principi, la Corte di Cassazione, ha confermato la condanna inflitta nel merito per il delitto di rapina, nei confronti di un uomo che aveva letteralmente "scippato" il cellulare alla propria ragazza nell'intento di leggere i messaggi in esso contenuti, alla ricerca di prove del suo tradimento (cfr. Cass. n. 24297/2016). 

Per la Corte, la condotta è inquadrabile senza ombra di dubbio nel delitto di rapina, piuttosto che in quello meno grave di furto con strappo, come invocato dalla difesa, giacché tale ultimo reato è integrato dalla condotta di violenza "immediatamente rivolta verso la cosa e solo in via del tutto indiretta verso la persona che la detiene", mentre il primo ricorre "quando la res sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo vincerne la resistenza e non solo superare la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica fra il possessore e la cosa sottratta" (cfr., tra le altre, Cass. n. 41464/2010), come avvenuto nel caso di specie.

Analogamente si è espressa la S.C., qualche tempo prima, nei confronti di un ragazzo di Barletta che per provare i tradimenti della propria ex, le ha sottratto il cellulare per leggere gli sms e mostrarli al futuro (mancato!) suocero (cfr. Cass. n. 11467/2015).

Anche in tal caso, dal Palazzaccio hanno ritenuto che la condotta del ragazzo integrasse il delitto di rapina, confermando così la condanna a due mesi di reclusione e la multa di 600 euro inflitta dalla Corte d'Appello di Bari.

A nulla sono valse le doglianze dell'imputato sulla mancata sussistenza dell'ingiustizia del profitto, richiesta dal delitto, in quanto l'azione era stata compiuta al solo fine di far conoscere al padre della ex i messaggi che la stessa riceveva da un altro uomo, dimostrando così la sua condotta fedifraga.

Gli Ermellini, infatti, hanno ricordato che nel delitto di rapina "il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche solo morale, in qualsiasi soddisfazione o godimento che l'agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purchè questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene".

E l'intento del ragazzo, di dimostrare al genitore la scorrettezza del comportamento tenuto dalla figlia nei suoi confronti "integra pienamente il requisito dell'ingiustizia del profitto morale che l'agente voleva ricavare dall'impossessamento del telefono cellulare della sua ex fidanzata".

Inoltre, hanno sottolineato i giudici di legittimità, la "perquisizione" del cellulare con l'intenzione di prendere cognizione dei messaggi ricevuti dalla ragazza integra una "finalità antigiuridica, in quanto violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell'autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane".

Infatti, ha ricordato la Cassazione, "bacchettando" la condotta del ragazzo ed enunciando un principio di carattere generale: "l'instaurazione di una relazione sentimentale fra due persone appartiene alla sfera della libertà e rientra nel diritto inviolabile all'autodeterminazione fondato sull'art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo (e della donna) senza che sia rispettata la sua libertà di autodeterminazione". Il che, nella sfera sessuale, hanno concluso i giudici della S.C., "comporta la libertà di intraprendere relazioni sentimentali e di porvi termine".


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