Come dimostrare il demansionamento ed ottenere il risarcimento per danni alla professionalità.

Avv. Francesco Pandolfi - cassazionista


Interessante pronuncia della Corte di Cassazione sezione L civile in tema "demansionamento" (sentenza n. 18965 del 09.09.2014). Il provvedimento ci aiuta a comprendere come accertare e quantificare il danno da dequalificazione.

 

Tizia chiede al Giudice del Lavoro il risarcimento dei danni per essere stata "adibita dalla s.p.a datrice a mansioni dequalificate rispetto al grado rivestito ed alla professionalita' raggiunta"; il Tribunale, con sentenza depositata il 7-10-2003, dichiara la nullita' della domanda riguardante il mobbing ed accoglie la richiesta risarcitoria per danni alla professionalita' in quanto si è concretizzata una evidente dequalificazione nel periodo 1xxx0/2xxxxx0: quantifica pertanto in via equitativa il risarcimento nella misura della meta' delle retribuzioni ricevute per le giornate di effettiva attivita' con riferimento al predetto periodo.

 

La s.p.a. impugna parzialmente la decisione di primo grado, con riferimento soltanto all'accertamento della dequalificazione, in quanto i testi escussi hanno reso a suo dire dichiarazioni non interpretate correttamente dal primo giudice; evidenzia, poi, che quest'ultimo si è spinto oltre la domanda in quanto ha disposto il risarcimento del danno con riferimento alla perdita di professionalita', mentre Tizia ha chiesto il risarcimento per danni subiti sul piano biologico.

Il datore conclude quindi chiedendo:

a) la parziale riforma della sentenza di primo grado con rigetto della domanda riguardante la asserita dequalificazione,

b) la condanna dell'appellata alla restituzione della somma di euro 4.760,11 corrisposta per effetto dell' esecuzione della sentenza di primo grado.

Tizia, dal canto suo, resiste al gravame e anzi propone appello incidentale: chiede che la quantificazione del risarcimento venga estesa anche ai giorni di assenza dal lavoro nel periodo riconosciuto dal primo giudice e che venga pure accolta la domanda di risarcimento da mobbing, in quanto ritiene di aver dedotto ogni elemento utile ai fini della sua individuazione.

 

La Corte d'Appello:

c) ritiene accertato il demansionamento a seguito del trasferimento di Tizia ad un ufficio ove si trova gerarchicamente sottoposta ad altro collega e per di più svolgendo attivita' del tutto secondarie e marginali,

d) conferma la determinazione equitativa del risarcimento del danno.

E' importante notare che La Corte di merito ritiene corretta la quantificazione operata dal primo giudice sulla base delle giornate lavorative effettive e, seppure considerando valida la domanda di risarcimento per mobbing, la rigetta nel merito solo perchè non sono stati allegati i reiterati e specifici comportamenti datoriali vessatori e aggressivi a suo danno, come tali "mobbizzanti".

 

Le parti giungono quindi in Cassazione.

La Suprema Corte mostra di condividere l'operato del Giudice circa la liquidazione del danno in via equitativa, preoccupandosi solo di appurare l'assenza di arbitrio in questo giudizio liquidatorio.

 

In sintesi: la domanda di risarcimento per mobbing incontrerà il favore del Magistrato nel momento in cui le ripetute e specifiche condotte vessatorie ed aggressive del datore di lavoro vengano accuratamente allegate e comprovate in causa, mentre la domanda di risarcimento per la dequalificazione sarà meritevole di accoglimento quando il dipendente dimostri puntualmente di essere stato adibito a mansioni residuali rispetto al grado rivestito e soprattutto alla professionalità.

 

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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