Pare di sognare, ma sono incubi per chi di diritti e di come azionarli si occupa e magari ha dedicato a tale attività solo una trentina d'anni di fatica. Per fortuna il Tribunale ha poi rimediato...

MEDIAevo n. 38, una rubrica di Paolo M. Storani - Avevo appena intinto la penna nel curaro e stavo cominciando un mio pezzullo rovente, rabbioso, dopo aver trascorso la mattinata nelle aule di giustizia a criticare l'incredibile ed inaudita decisione con cui il Collegio del Tribunale di Milano, Est. D'Aquino, condanna parte ricorrente - opponente (allo stato passivo) ad un danno ai sensi dell'art. 96, 3° co., c.p.c. che letteralmente non esiste! 

Sembra che per fortuna a questa pronuncia il Tribunale abbia poi rimediato con un provvedimento segnalato dal Collega Simone Alibrandi in questo articolo pubblicato nelle pagine del suo blog: Copia di cortesia: arriva il "lieto" fine (per così dire). La cortesia non può essere un obbligo.

Intendo premettere che non conosco nessuno dei tre magistrati, quindi nessuno di loro mi ha mai dato torto (o ragione) e neppure l'avvocato difensore del ricorrente, di cui ignoro persino le generalità, rimasto vittima (sia pur per pochi giorni) dell'aberrante provvedimento. 

Va immediatamente conclamato che la fattispecie concreta affrontata dal Collegio ambrosiano non annovera né un'ipotesi di abuso del processo, né un danno alla controparte - Curatela.

Come si giunge a liquidare ingiustamente € 5.000,00 (o qualunque altra somma) a carico di chi aveva agito in giudizio e che, a occhio e croce, non mi sembra dovesse poi avere tutti i torti pure nel merito (che, però, ai presenti fini lascia il tempo che trova)?

Leggete quale dose di veleno c'è nella coda - il contesto sovente si giudica dai dettagli densi di significato - del decreto ambrosiano: "Va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie "cortesia" di cui al Protocollo d'Intesa tra il Tribunale di Milano e l'Ordine degli Avvocati di Milano del 26 giugno 2014, rendendo più gravoso per il collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. come da dispositivo."

Pare di sognare, ma sono incubi per chi di diritti e di come azionarli si occupa e magari ha dedicato a tale attività solo una trentina d'anni di fatica.

Un argomento giuridico la copia cartacea di cortesia?!

Per cortesia!!!

Ma se il cancelliere con la copia di cortesia, magari diligentemente consegnatagli dall'avvocato, ci incarta la merenda, che male fa?!

Nessuno.

Esiste forse traccia del deposito della copia di cortesia? 

Se ne stamperà un altro esemplare dalla consolle del processo civile telematico.

E il Protocollo d'Intesa?! Qual è la sua amletica natura pseudo giuridica?

Confesso che io detesto i protocolli perché gli avvocati debbono applicarli ed i magistrati raramente lo fanno.

Si tratta di un gentlemen agreement.

Gravosità per i giudici nell'esaminare le difese della parte opponente???

Un non-concetto giuridico che ignoriamo.

I giudici sono pagati per esaminare le difese delle parti. Punto.

I giudici non sanno usare il pc per leggere i nostri atti o hanno forse i polpastrelli anchilosati?!

Si sono forse finiti il toner della stampante ed il numero telefonico del fornitore Ecostore fa occupato?!

Per le risorse ed i materiali di consumo non penso manchino i denari, visti i demenziali contributi unificati che paghiamo e che rappresentano un insulto in faccia ad ogni anelito di Giustizia.

Mi auguro che il Ministro Andrea Orlando ed il Sottosegretario di Stato Cosimo Maria Ferri riflettano sulla situazione di grandissimo disagio in cui ci troviamo ad operare ogni giorno, condizionati in modo inaccettabile nelle nostre stesse scelte ed opzioni strategiche e processuali, incerti se chiamare in causa un garante in manleva e con ciò togliere una mesata di stipendio o un rateo di pensione, se basta e se c'è, al nostro tutelato.

Paghiamo un biglietto esosissimo per un servizio Giustizia (mi ostino all'utilizzo della maiuscola per il profondo rispetto che nutro per la Giustizia e per i Magistrati) pessimo che poi dobbiamo pure giustificare ai Clienti (altra maiuscola).

Il Collegio presieduto dalla Dott.ssa Bruno legge la norma come se il danno fosse imputabile all'avvocato quando l'art. 96 c.p.c. si rivolge platealmente alla parte processuale, come da agevole ermeneutica.

Il difensore del ricorrente merita la solidarietà dell'intera Avvocatura!

Incredibilmente il Collegio veste i panni del danneggiato, ponendosi in antitesi con una parte, il malcapitato ricorrente, con ciò abdicando al suo fondamentale ruolo improntato all'imparzialità.

Il decreto del Tribunale di Milano lascia basiti tant'è affetto da abnormità strutturale, nel senso che il Collegio aveva in astratto il potere di irrogare quella... punizione al ricorrente, ma lo ha esercitato in una situazione radicalmente diversa da quella contemplata dalla legge che il Collegio ha applicato a sproposito.

Poi, abbattuto e sconcertato, all'improvviso mi è capitato di leggere quanto il finissimo giurista e caro Collega Avv. Marcello Adriano Mazzola aveva appena analiticamente esposto, con forti ma opportune e calibrate espressioni, adatte alla gravità della fattispecie, ben più incisive ed ordinate di quelle che stavo approntando e sviluppando io, su Persona & Danno, il portale giuridico diretto dal Prof. Paolo Cendon che ho avuto l'onore di coordinare per alcuni anni (e di cui curo tuttora i collegamenti).

Siamo probabilmente al cospetto di uno dei più autorevoli conoscitori dell'istituto del novellato (dalla legge n. 69 del 2009) art. 96 c.p.c. che i giudici meneghini hanno così malamente applicato.

Ed allora, per dirla con Jonathan Safran Foer, ogni cosa è illuminata; allora, la rabbia si è sciolta in una lunga conversazione con questo Autore giuridico di razza che, con coraggio professionale unito a passione civile, opera proprio sulla piazza di Milano.

Non posso, pertanto, fare a meno di presentare, in forma integrale perché soltanto così si può apprezzarne il valore, ai visitatori di LIA Law In Action la nota che fa coriandoli (proprio il giorno dopo Carnevale...) del decreto emesso in data 15 gennaio 2015 dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Milano, Pres. Simonetta Bruno, Giud. Francesca Mammone, Rel. il suddetto Filippo D'Aquino.

La pronuncia della Sezione Fallimentare, sotto forma di decreto, un'autentica aggressione alla dignità del diritto di difesa, è stata prontamente divulgata anche dalla validissima Rivista diretta da Luigi Viola, La Nuova Procedura Civile, con il corredo di una simpatica ed emblematica vignetta.

Lascio, quindi, la parola all'Autore, ch'è anche curatore di un seguito blog su Il Fatto Quotidiano online, con l'avvertenza che la fonte è www.personaedanno.it del 18 febbraio 2015, lemma "Giustizia civile", ove si può consultare il testo integrale del decreto; il titolo originale è "L'aberrante applicazione dell'art.96 c.p.c." - Marcello Adriano MAZZOLA.


"1. La fattispecie. - Aberrante. Non vi sono altri aggettivi che possano essere adoperati dinanzi ad un cotale decreto, reso a firma del collegio composto dai giudici Bruno (presidente), D'Aquino (relatore), Mammone (giudice) della seconda sezione del Tribunale di Milano. Iniziamo col fare i nomi, - dunque con l'attribuire la paternità del provvedimento dirompente e assolutamente inedito nel panorama giurisprudenziale -, dei giudici.

Il contenuto del decreto nel merito non ci interessa. Potrà essere ineccepibile o pur anche brillante e straordinario. In tal caso il plauso non mancherebbe certo da parte nostra.

Non ci interessa poiché l'attenzione non può che cadere sulla parte in cui il collegio giunge a scrivere che "Va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie "cortesia" di cui al Protocollo d'Intesa tra il Tribunale di Milano e l'Ordine degli avvocati di Milano del 26.06.2014, rendendo più gravoso per il collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. come da dispositivo." dunque poi giungendo a condannare e liquidare in ragione di ciò € 5.000.

2. Il terzo comma dell'art. 96 c.p.c. - Come noto l'art. 96 del codice di procedura civile è intitolato "Responsabilità aggravata" ed è appropriatamente - per veste nominale - inserito nel Capo IV "Della responsabilità delle parti per le spese e per i danni processuali", del Titolo III "Delle parti e dei difensori", del Primo Libro, dedicato alle disposizioni generali, del codice di rito.

L'articolo è composto da ben tre commi e così recita, ora a seguito della recente modifica avvenuta con la novella del codice di rito ex l. 18.6.2009, n. 69 "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile" che ha appunto aggiunto il terzo comma, non senza creare ambiguità e apparenti distonie con l'intera struttura della norma, di rito e sostanziale. Recita difatti il terzo comma che "In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata." (art. 96, III co. c.p.c.).

Il terzo comma ha certamente rivoluzionato l'applicazione di tale forma di responsabilità, imponendo secondo l'opinione oramai prevalente, un modello quale quello punitivo non proprio della r.c. italiana ma appartenente ad altri sistemi giuridici, connotando la cultura anglo-americana.

La dottrina e la giurisprudenza oramai si soffermano lungamente su un istituto di straordinaria importanza, rafforzato ovviamente in chiave deflativa prima dalla giurisprudenza e appunto da ultimo nel 2009 dal legislatore, a fronte di svariati casi di abuso processuale che, come correttamente ricordato oramai a memoria dalle corti, costituiscono non solo un grave vulnus alla parte processuale ma pure alla collettività intera, aumentando il numero dei processi pendenti sino ad indebolire l'intero sistema giurisdizionale e il diritto alla difesa ex art. 24 Cost.

E sin qua siamo tutti d'accordo: l'abuso processuale va puntualmente sanzionato, punito, risarcito. Appunto, l'abuso processuale, non la lesa maestà. Ed ancor meno la supposta lesa maestà.

3. Le critiche al decreto. - Non è qua il caso di addentrarsi nei complessi meandri della figura che partecipa alla responsabilità civile, poiché sarebbe ultroneo rispetto alle severe critiche che esporremo. Critiche non certo sulla opportunità o meno della scelta del collegio di giungere ad applicare ed a riconoscere il danno punitivo in una fattispecie caratterizzata dall'aver "depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie "cortesia" di cui al Protocollo d'Intesa [così] rendendo più gravoso per il collegio esaminarne le difese.".

Chi scrive ritiene di poter conoscere, perlomeno a sufficienza, l'art. 96 c.p.c. avendo dedicato ad esso quasi una intera monografia (Mazzola M.A., Responsabilità processuale, Utet, Torino, 2013, pp. 804) ed ancor prima analogamente una più breve monografia (Mazzola M.A., Responsabilità processuale e danno da lite temeraria, Giuffrè, Milano, 2010). Muoverò dunque critiche non per sentito dire ma perché il collegio applica assolutamente impropriamente l'art. 96 c.p.c., censurando una condotta paraprocessuale (dunque si badi bene, neppure processuale, né tanto meno sostanziale) che neppure avrebbe dovuto mai essere sanzionata. Mai. Ed è assai grave averlo fatto.

Partirò da lontano, così non potrò essere accusato di avere acredine verso i giudici (che hanno tutto il mio rispetto ma quando si mostrano diligenti, la mia venerazione quando si mostrano pure brillanti e coraggiosi, le mie censure al contrario). I presupposti di tale decreto affondano nelle responsabilità e nelle condotte e scelte dell'avvocatura.

Sì avete letto bene: l'avvocatura è la mandante morale di un tale decreto. Quell'avvocatura che in questi decenni si è resa servile, pregna di piaggeria e di sindrome da scendiletto verso la magistratura, accettandone qualsivoglia pretesa, legittima o illegittima che fosse, dimenticando ed ignorando come nelle corti di giustizia debba vigere sempre e comunque la parità tra giudicante e difesa. Parità che pretende pari dignità e pari rispetto.

Invece l'avvocatura ha nei decenni, anche grazie alle rappresentanze istituzionali e politiche ceduto tale dignità, accettando di svolgere le funzioni di cancelliere nei processi (perché?), di agevolare i magistrati nelle loro funzioni (dotandoli via via di praticanti e scribacchini), non ultimo di integrare le lacune del Processo Civile Telematico (leggasi Milano ed altri ordini, che comunque hanno svolto pure un ruolo prezioso nello sviluppo ed avvio del PCT) sino a siglare "protocolli d'intesa" tali da vanificare la ratio legis che ha condotto (faticosamente, schizofrenicamente) il legislatore a realizzare (ancora incompiutamente peraltro) il PCT.

Invero, il PCT (che ad oggi ci è costato, dunque alla collettività intera, circa 4 miliardi di euro in 10 anni, quando bastava indire una gara di appalto ed auspicare che intervenisse Microsoft et similia, e non avremmo il mediocre risultato attuale) è nato per spostare, semplificare, agevolare, snellire tutto il processo civile dal cartaceo al telematico, così avendo a disposizione maggiori risorse (umane e economiche) per il funzionamento dei processi. Uno di questi principi è dunque "niente carta, sì alla gestione informatica del processo", se vogliamo così anche marginalmente con un minore impatto ambientale.

Si aggiunga come in questi anni il Contributo Unificato sia esponenzialmente aumentato, in chiave deflattiva e come strumento per risanare le casse dello Stato fallito, così da assicurare ampie risorse economiche al Ministero di Giustizia, che riutilizza solo in minima parte al proprio interno!

Non paghi di tutto ciò gli Ordini hanno incredibilmente pensato di offrire ulteriormente i propri servigi siglando con i tribunali di riferimento un gentlemen agreement (ergo un protocollo) per garantire ai magistrati (oltre agli adempimenti del PCT che gravano sugli avvocati) pure una "copia cortesia cartacea", come se gli stessi magistrati: a) non siano in grado di leggere gli atti telematici; b) non siano in grado di farsene stampare una copia dalla cancelleria; c) non siano in grado, in subordine, di stamparsene una copia in proprio.

Gli Ordini - i tantissimi Ordini, posto che al riguardo si è innescato un virtuosismo assolutamente negativo - così hanno sbagliato perlomeno tre volte:

a) la prima perché hanno fatto rientrare dalla finestra ciò che il PCT ha inteso debellare;

b) la seconda perché hanno gravato gli avvocati di un ulteriore adempimento;

c) la terza perché pretendono dagli avvocati che continuino a sostituirsi agli inadempimenti della cancelleria (e/o in subordine dei magistrati).

Tutto ciò ignorando come il Contributo Unificato, aumentato esponenzialmente, sia tale da poter soddisfare e sfamare qualsivoglia copia cartacea a spese del Ministero della Giustizia, addirittura oggi forse in filigrana d'oro (o in pelle umana, parafrasando note battute fantozziane).

Questa solo la premessa.

In punto di puro diritto il decreto è parimenti aberrante. Lo è perchè punire la condotta di aver "depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie "cortesia" di cui al Protocollo d'Intesa [così] rendendo più gravoso per il collegio esaminarne le difese." nulla c'entra con l'art. 96 c.p.c.. Infatti la condotta censurata e punita non è una condotta:

(1) punibile, perché non è coperta da alcuna fonte normativa e/o regolamentare, atteso che il protocollo è un mero gentlemen agreement che per cortesia suggerisce alle parti adempimenti e non certo doveri e che tutte le molteplici fonti sul PCT nulla prescrivono al riguardo (e ci mancherebbe altro!);


(2) è una condotta comunque paraprocessuale, poiché attinente ad una modalità di deposito degli atti difensivi e non alla difesa vera e propria;


(3) non costituisce alcun abuso del processo né tanto meno danneggia la parte processuale avversa;


(4) in ogni caso, checché ne scriva il collegio, non rende certo "più gravoso per il collegio esaminarne le difese" (son privi i giudici di cancelleria? Son soggetti privi di stampante e/o di manualità?);


(5) non ultimo, pur volendo ignorare le già dirimenti censure, investe una condotta squisitamente ed esclusivamente del difensore mentre l'art. 96 c.p.c. è diretta direttamente alla parte processuale.


Un tale decreto, in tale parte lo si ripete, a mio avviso costituisce un gravissimo precedente, peraltro tale da connotare la responsabilità civile del magistrato nonché anche quella disciplinare, poiché spinge l'applicazione dell'art. 96 c.p.c. su un versante non solo non voluto dal legislatore ma neppure immaginato. Eppure di questi tempi, il legislatore freme dal desiderio di deflazionare qualsivoglia contenzioso giurisdizionale.

Il mio auspicio è che al riguardo intervenga duramente e immediatamente l'Organismo Unitario dell'Avvocatura ed anche sul versante istituzionale il Consiglio Nazionale Forense. Immediatamente per arginare un'aggressione alla dignità del diritto di difesa. Inutile difatti ridondare la nostra veste costituzionale se poi al momento opportuno non siamo in grado di difenderla. E di difenderci."

Cosa pensano i lettori di LIA Law In Action in ordine a quanto argomenta su Persona & Danno l'Avv. Marcello Adriano Mazzola?

Il form sottostante è a Vostra completa disposizione per i commenti e le chiose che nella fattispecie decisamente si impongono.

In particolare, potrebbe ravvisarsi la responsabilità dei magistrati?

La nozione della responsabilità dello Stato per condotte rientranti nell'esercizio delle funzioni giudiziarie poste in essere dal magistrato si ricava principalmente dall'art. 2, primo comma, legge 13 aprile 1988, n. 117, per il quale chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.


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