La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 27351/2014, conferma una serie di principi relativi all'ipotesi di incapacità di testare prevista dall'art.591 comma 2 n.3 c.c.

Avv. Gabriele Mercanti - 

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 27.351 in data 23 dicembre 2014, conferma una serie di principi relativi all'ipotesi di incapacità di testare prevista dall'art. 591 secondo comma n. 3) c.c. (1)

Nello specifico, la de cuius redigeva un primo testamento olografo (datato 3 marzo 1987) per poi integralmente revocarlo con un secondo atto di ultima volontà olografo (datato 27 luglio 1995) con conseguente apertura della successione legittima (2): a questo punto gli eredi istituiti con il primo documento convenivano in giudizio gli eredi legittimi della de cuius per veder dichiarata l'invalidità della revoca contenuta nel secondo testamento per un'asserita incapacità naturale della testatrice; a loro volta gli eredi legittimi asserivano che il vizio di incapacità naturale esistesse già al momento del perfezionamento della prima scheda con la conseguente apertura della successione legittima a loro favore.

Nei primi due gradi di giudizio (3) veniva statuita l'invalidità della sola seconda scheda testamentaria ritenendosi non provato lo stato di incapacità al momento della confezione della prima scheda, da cui il ricorso in Cassazione da parte dell'asserito erede legittimo soccombente.

Rigettando il ricorso, gli Ermellini enunciano i principi che in materia devono essere utilizzati e per stabilire il grado di incapacità naturale tale da privare il soggetto della c.d. testamenti factio activa e per l'imputazione dell'onere probatorio. 

Quanto al grado di incapacita'.

Il S.C., confermando precedenti pronunciati (4), asserisce che non sia sufficiente"una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di un'infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi".

Tale assunto è fondamentalmente in linea con altro assodato principio giurisprudenziale tale per cui l'incapacità in questione dovrebbe avere caratteristiche tali da determinare, ove fosse stata abituale, la pronuncia di interdizione (5).

Altrettanto coerente con quanto detto, è il fatto che - per tradizionale orientamento giurisprudenziale - gli stati emotivi e passionali non siano di per sé sufficienti ad escludere la capacità di intendere e di volere del testatore. (6)

La linea d'orizzonte tracciabile è, quindi, nitida: per invalidare il testamento non basta un mero decadimento cognitivo o una qualsiasi alterazione mentale, bensì occorre una reale e piena inidoneità del soggetto a comprendere la portata economico - sociale - giuridica del negozio compiuto. (7)

Quanto all'imputazione dell'onere probatorio.

Gli Ermellini adattano il generale principio dell'onere probatorio alla specificità della questione.

In primo luogo, affermando che in materia la regola è che il soggetto sia capace essendo - invece - l'incapacità l'eccezione, concludono che "costituisce onere, posto a carico di chi quello stato di incapacità assume, provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere del testatore".

In secondo luogo, analizzando il noto problema clinico - giuridico del c.d. intervallo lucido (cioè dell'esistenza di una fase di effettiva capacità naturale - seppur momentanea e transitoria - di un soggetto che di regola ne è privo), statuiscono che compete "a colui che faccia valere il testamento dimostrare che la redazione è avvenuta in un intervallo di lucidità".

Giova, infine, rammentare che le conclusioni sopra raggiunte dai Giudici del Palazzaccio sono estensibili a qualunque forma di testamento, dato che dall'art. 601 c.c. si evince inequivocabilmente il principio di equipollenza delle forme testamentarie. (8)

 

Avv. Gabriele Mercanti - Foro di Brescia - avv.gabrielemercanti@gmail.com

 

(1) Tale norma statuisce che "sono incapaci di testare … quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento".

 

(2) Dalla cronologia degli eventi riportata dalla Sentenza in commento, in realtà, non si evince con certezza se il secondo testamento si limitasse a revocare il primo o contenesse anche altre disposizioni, ma - sta di fatto - che il procedimento è stato incardinato tra eredi testamentari (del primo testamento) ed eredi legittimi.

 

(3) Tribunale di Palermo Sentenza del 25.07.2003, Corte d'Appello di Palermo Sentenza del 21.04.2009.

 

(4) Cfr. il precedente ivi citato dato da Cass. n. 8.079/2005.

 

(5) Cfr. Cass. n. 1.444/2003. Non è, quindi, casuale è che uno degli argomenti utilizzato dai resistenti fosse stata la reiezione nel 1989 - e quindi addirittura dopo la redazione del primo testamento - di una richiesta di interdizione della de cuius.

 

(6) Cfr. Cass. n. 1.851/1980.

 

(7) Secondo la dottrina (su tutti commentario al Codice Civile Cian - Trabucchi sub art. 591) tale rigore interpretativo è dovuto a due principali argomenti: il primo è che, per definizione, il negozio testamentario non è rinnovabile dal suo autore dato che produce effetti solo dopo la di lui morte; il secondo è che, spesso, l'impugnativa giudiziale per incapacità naturale del testatore è l'"arma disperata dei parenti delusi".

(8) In tal senso si spiega anche il pacifico orientamento giurisprudenziale in base al quale sono del tutto irrilevanti per l'accertamento in ordine alla capacità naturale del testatore eventuali attestazioni sulla sanità mentale effettuate dal Notaio che ha ricevuto il testamento pubblico, cfr. Cass. n. 4.931/1981 che consequenzialmente esclude la necessarietà della proposizione della querela di falso.


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