Qual è la natura del denaro degli enti pubblici? Quali le implicazioni pratiche della soluzione a tale problema di natura apparentemente solo definitoria? Le risposte della giurisprudenza.

di Luigi Papalia 

Gli enti pubblici si avvalgono di svariate risorse per il perseguimento delle proprie finalità: tra tali risorse rientra il denaro.

Circa il denaro iscritto nelle poste attive del bilancio degli enti pubblici ci si è interrogati sulla qualifica da attribuire allo stesso: se, in particolare, si possa parlare di bene patrimoniale indisponibile o disponibile. Le conseguenze sono di non poco conto, rispettivamente da inquadrare nell'ambito del regime statutario pubblicistico o privatistico di tali beni.

Qualora, infatti, solo per fare un esempio, si assegnasse natura di bene patrimoniale indisponibile al denaro, lo stesso sarebbe impignorabile, diversamente da ciò che accadrebbe nel caso opposto.

La giurisprudenza, al riguardo, ha mostrato nel corso degli anni di aderire a tesi diverse.

Inizialmente, ha posto l'accento sull'inerenza del denaro ai rapporti giuridici nascenti dall'esercizio di funzioni pubbliche ovvero sul fatto che lo stesso fosse originato dai rapporti di diritto privato.

Si diceva, infatti, che qualora il denaro degli enti pubblici fosse derivato dall'esercizio di funzioni pubbliche, lo stesso doveva necessariamente qualificarsi quale bene patrimoniale indisponibile ( con tutto ciò che ne deriva) e che nel caso in cui, invece, lo stesso fosse derivato dall'esercizio di rapporti di tipo privatistico, tale bene andava qualificato come patrimoniale disponibile.

Tuttavia si considerava bastevole ai fini dell'ingresso del denaro nell'alveo tipologico dei beni patrimoniali indisponibili la circostanza che lo stesso fosse stato iscritto nelle poste attive del bilancio degli enti pubblici.

In altri termini, la "iscrizione" tra le poste attive del bilancio, delle somme di denaro era l'elemento sufficiente da cui far discendere la qualificazione dello stesso come di bene patrimoniale indisponibile.

Tale iniziale e tradizionale orientamento della giurisprudenza ha però, come si è poco sopra già detto, subito una certa evoluzione.

Il dato della iscrizione tra le poste attive del bilancio infatti, non è altro - si è sostenuto - che un dato avente valore meramente contabile: non imprimerebbe un certo vincolo di destinazione all'oggetto di spesa considerato nel relativo capitolo.

Questa considerazione ha spinto la giurisprudenza a mutare indirizzo, preferendo ritenere che sempre ed in ogni caso il denaro degli enti pubblici vada qualificato quale bene patrimoniale disponibile.

Si è infatti sostenuto che:

1) le somme di denaro rientrano nel patrimonio disponibile indipendentemente dalla provenienza;

2) le somme pecuniarie (o i crediti pecuniari) entrano invece a far parte del patrimonio indisponibile soltanto quando una disposizione di legge ovvero un provvedimento amministrativo specifico abbiano conferito agli stessi una specifica destinazione ad un servizio pubblico o all'esercizio di una funzione dell'ente.

di Luigi Papalia E-mail: avvluigipapalia@gmail.com


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