Questi i requisiti minimi dello "spazio vitale" per ogni cella in carcere, affermati dalla Cassazione con sentenza n. 53012 del 19 dicembre 2014.

Ogni detenuto ha diritto a tre metri quadrati calpestabili, escludendo il letto, l'armadio e il lavabo. Questi i requisiti minimi dello "spazio vitale" per ogni cella in carcere, affermati dalla Cassazione con sentenza n. 53012 del 19 dicembre 2014.

Richiamandosi alla giurisprudenza europea, e, in particolare alla nota sentenza Torreggiani, con cui nel gennaio 2013 la Cedu aveva condannato l'Italia per il sovraffollamento delle carceri (portando il Governo a correre ai ripari con i c.d. decreto "carceri" e "svuota carceri", la l. n. 67/2014 di riforma della custodia cautelare e i rimedi risarcitori introdotti dal d.l. n. 92/2014 per i detenuti e gli internati che avevano subito trattamenti in violazione dei diritti umani), la prima sezione penale della Cassazione ha confermato il provvedimento di un magistrato di sorveglianza di Venezia, il quale, nonostante l'opposizione dell'amministrazione penitenziaria, aveva accolto il reclamo di un detenuto spostandolo in una cella con superficie calpestabile pro capite non inferiore ai tre metri quadrati.

Pronunciandosi sul ricorso del Ministero della Giustizia, la S.C. ha vagliato positivamente le ragioni alla base del provvedimento del magistrato veneto secondo il quale, anche non tenendo conto dell'ingombro del letto, dell'armadio e del lavabo, lo "spazio vitale minimo" a disposizione del detenuto e dei suoi compagni di cella non poteva essere considerato adeguato e sufficiente al trattamento umano e quindi era da ritenere in violazione dell'art. 3 della Cedu.

Pertanto, pur prendendo atto che "nel sancire il divieto di tortura, delle pene e dei trattamenti umani e degradanti, l'art. 3 della Convenzione non ha tipizzato le condotte integratrici della violazione del divieto" e che nell'ordinamento penitenziario si parla soltanto di "spazio sufficiente", ciò vuol dire, ha concluso la Corte che, come avvenuto nel caso di specie, è il giudice a dover valutare la condizione di fatto della carcerazione.  


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