di Licia AlbertazziCorte di Cassazione civile, sezione prima, sentenza n. 26062 del 10 Dicembre 2014. Quando è possibile aggiungere il patronimico al cognome del minore, a seguito di intervenuto riconoscimento anche da parte dell'altro genitore? E quando è possibile addirittura sostituire il cognome del padre a quello della madre? Il caso di specie offre spunti di riflessione in merito a tale problematica. La regola generale contempla che interesse primario da preservare sia comunque quello del minore, nel senso che l'aggiunta o la sostituzione sono da escludersi laddove le stesse arrechino concreto pregiudizio. In assenza di elementi pregiudicanti, in linea di massima essa è ammessa ove il minore sia ancora un bambino, non abbia raggiunto l'adolescenza, periodo della vita in cui avviene l'individuazione psicologica e sociale del ragazzo.


Tale pregiudizio è misurabile dal giudice del merito - attinendo la questione all'accertamento del fatto - rispetto all'inserimento del minore nel contesto sociale in cui vive; se il bambino è già identificabile con il cognome materno, o, ancora, l'attribuzione del cognome paterno potrebbe generare pregiudizio sociale, allora l'operazione sarà da escludere. "La scelta del giudice non può essere condizionata né dal favor per il patronimico, né dall'esigenza di equiparare almeno tendenzialmente il risultato a quello derivante dalle diverse regole (…) che presiedono all'attribuzione del cognome al figlio legittimo o legittimato". Il diritto al nome è infatti riconosciuto quale diritto fondamentale della persona, "quale strumento identificativo di ciascun individuo". La reputazione del padre è quindi elemento fondamentale per la decisione, rapportata al diretto impatto che questa ha sicuramente se associata al figlio minore.


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