Dopo la Legge Balduzzi dottrina e giurisprudenza si sono poste il problema di inquadrare correttamente la questione della responsabilità medica

Avv. Francesco Pandolfi          Cassazione e Magistrature Superiori         www.pandolfistudiolegale.it


In seguito all'entrata in vigore del d.l. n. 158/2012 conv. in L. 189/2012, c.d. Legge Balduzzi, dottrina e giurisprudenza si sono poste il problema di inquadrare correttamente la questione della responsabilità medica alla luce della nuova disciplina. 

In precedenza, la responsabilità civile da medical malpractice era stata costantemente ricondotta alla responsabilità contrattuale per inadempimento di cui all'art. 1218 c.c., in combinato disposto con l'art. 1173 c.c. 

L'interpretazione letterale dell'art. 3 della suddetta legge, invece, ha portato ad un revirment in materia, inducendo piuttosto a considerare la responsabilità del medico un'ipotesi di illecito aquiliano. Più precisamente, per tutte le condotte non configurabili quali inadempimento di un contratto d'opera diverso da quello concluso con la struttura ospedaliera, la nuova disciplina imporrebbe di considerare la responsabilità di coloro che esercitano le professioni sanitarie sussumibile nell'art. 2043 c.c. 

Di conseguenza, perché tale responsabilità possa almeno sussistere, devono manifestarsi tutti i presupposti dell'illecito extracontrattuale (lesione del diritto, danno ingiusto, nesso causale tra condotta ed evento, dolo o colpa), il cui onere probatorio incombe sul danneggiato, mentre il termine prescrizionale passa dall'ordinario termine decennale a quello quinquennale. 

Appare quindi evidente che svincolare la responsabilità dei professionisti dalle regole generali sull'adempimento delle obbligazioni, in ogni caso in cui il paziente non sia legato al professionista stesso da un rapporto contrattuale, ha delle notevoli ricadute tanto sul piano teorico quanto sul piano pratico. 


La questione è esaminata in dettaglio dall'articolata sentenza del Tribunale di Milano, Sezione 1 civile del 17.07.2014, i cui passaggi più significativi qui di seguito si riportano.

 

(...) ha convenuto in giudizio Policlinico di (...) s.p.a. e il dott. (...) esponendo che nell'ottobre del 2008 era stato sottoposto ad intervento di tiroidectomia totale presso la struttura sanitaria convenuta; che l'intervento chirurgico era stato eseguito dal convenuto dott. (...); che nell'immediato post-operatorio una grave dispnea da paralisi bilaterale delle corde vocali aveva reso necessario il ricovero in terapia intensiva; che era stato dimesso il 29/10/2008; che nei giorni immediatamente successivi, per il perdurare dei problemi respiratori, era stato ricoverato presso un altro nosocomio dove l'8/11/2008 i sanitari avevano praticato una tracheotomia che aveva tuttavia solo in parte risolto i danni alla salute subiti in occasione del primo intervento presso la struttura sanitaria convenuta; che infatti i successivi controlli specialistici effettuati e i pareri medico-legali acquisiti avevano confermato che la corda vocale destra, era paralizzata e non più recuperabile, mentre la sinistra poteva avere un leggero margine di miglioramento col tempo; che la paralisi bilaterale delle corde vocali era in diretta correlazione con l'errato intervento eseguito dal convenuto dott. (...) presso il Policlinico di che i convenuti erano responsabili del danno alla salate e del danno morale subiti dall'attore.

Su tali premesse, l'attore chiedeva la condanna solidale dei convenuti ai risarcimento dei danni derivati dall'illecito descritto e che indicava in complessivi euro 60.513,69 oltre rivalutazione monetaria e interessi dalla data dell'illecito.

Si è costituita ritualmente la società Policlinico di (...) esponendo: che in occasione dell'intervento di tiroidectomia totale erano sorte difficoltà a causa di un grosso nodulo nella parte destra, sede di pregressi fotti flogistici, e degli esisti nella parte sinistra di un precedente intervento di ernia cervicale; che gli operatori non erano riusciti a isolare la corda vocale di destra, mentre quella sinistra era stata visualizzata e conservata; che dopo la fine dell'intervento era insorta una crisi dispnoica che aveva reso necessaria l'intubazione del paziente e il suo trasferimento in terapia intensiva, dove era rimasto fino al giorno successivo; che il paziente era stato dimesso il 2xxxxx e dopo due giorni i chirurghi e gli specialisti avevano consigliato il ricovero presso altro nosocomio specializzato, dove era stato sottoposto a tracheotomia temporanea; che l'intervento eseguito presso la struttura convenuta dal dott. (...) non era di routine e che le lesioni lamentate dal paziente costituivano complicanze prevedibili di tale tipo di intervento e si erano verificate nonostante i sanitari avessero fatto quanto era loro esigibile per prevenirle; che trattandosi di una complicanza prevedibile indicata nel modulo di consenso sottoscritto dal paziente e non evitabile nel caso concreto dai sanitari, non poteva essere ravvisata una responsabilità risarcitoria (omissis );

Si è altresì costituito ritualmente l'altro convenuto (...) il quale nel merito il professionista convenuto chiedeva il rigetto delle domande avanzate nei suoi confronti e, in subordine, la condanna del proprio assicuratore a tenerlo indenne dalla soccombenza. Nella comparsa costitutiva il medico allegava in particolare che l'intervento chirurgico eseguito era stato di particolare complessità, anche per le condizioni soggettive del paziente già evidenziate nella difesa, della, struttura sanitaria, e che non vi erano elementi per poter ravvisare una sita responsabilità per i danni dedotti genericamente dall'attore.

L'articolato sistema della responsabilità civile in ambito sanitario.

Prima di esaminare il merito delle domande, è opportuno reinquadrare e rimettere a fuoco il sistema della responsabilità, civile da "malpractice medica" a seguito della ed legge Balduzzi (L. 189/2012), che è stata oggetto di diverse opzioni interpretative e di applicazioni giurisprudenziali non sempre convincenti.

All'esito di una non breve riflessione favorita dai vari contributi anche giurisprudenziali noti, ritiene il Tribunale adito che la citata legge del 2012 induca a rivedere il "diritto vivente" secondo cui sia la responsabilità civile della struttura sanitaria sia quella medico andrebbero in ogni caso ricondotte nell'alveo della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c.

La responsabilità della struttura sanitaria.

Secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza, avallato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 1/7/2002 n. 9556 e sent. 11/1/2008 n. 577), il rapporto che lega la struttura sanitaria (pubblica o privata) al paziente ha fonte in un contratto obbligatorio atipico (ed contratto di "spedalità" o di "assistenza sanitaria") che si perfeziona anche sulla base di fatti concludenti - con la sola accettazione del malato presso la struttura (Cass., 134/2007 n. 8826) - e che ha ad oggetto l'obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere strettamente sanitario sia prestazioni secondarie ed accessorie (fra cui prestare assistenza al malato, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero ecc.).

Ne deriva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l'inadempimento e/o per l'inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c., e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la struttura, (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni si avvalga dell'opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni - esercenti professioni sanitarie e personale ausiliario.....la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi soggetti.

La responsabilità del medico.

In merito alla responsabilità del medico dipendente e/o collaboratore della struttura sanitaria - autore della condotta attiva o omissiva produttiva; del danno subito dal paziente col quale tuttavia non ha concluso un contratto diverso ed ulteriore rispetto a, quello che obbliga la struttura nella quale il sanitario opera - a partire dal 1999 la giurisprudenza pressoché unanime ha ritenuto che anch'essa andasse inquadrata nella responsabilità ex art. 1218 c.c. in base alla nota, teoria, del "contatto sociale"-.

La ricostruzione della responsabilità del medico in termini di responsabilità "contrattuale" ex art. 1218 c.c. anche in assenza di un contratto concluso dal professionista con il paziente implica, come logico corollario, l'applicazione della relativa disciplina in tema di riparto dell'onere della prova ha le parti, di termine di prescrizione decennale ecc..

Tale inquadramento della responsabilità medica e il conseguente regime applicabile, unito all'evoluzione che nel corso degli anni si è avuta in temici danni non patrimoniali risarcibili e all'accresciuta entità dei risarcimenti liquidati - in base alle tabelle di liquidazione equitativa del danno alla persona elaborate dalla giurisprudenza di merito, in particolare a quelle del Tribunale di Milano ritenute applicabili dalla Cassazione a tutto il territorio nazionale in mancanza di un criterio di liquidazione previsto dalla legge - ha indubitabilmente comportato un aumento dei casi in cui è stato possibile ravvisare una responsabilità civile del medico ospedaliero, una maggiore esposizione di tale categoria professionale al rischio di dover risarcire danni anche ingenti (con proporzionale aumento dei premi assicurativi) ed ha involontariamente finito per contribuire all'esplosione del fenomeno della cd "medicina difensiva" come reazione al proliferare delle azioni di responsabilità promosse contro i medici.

L'impatto della legge 189/2012 (cd "legge Balduzzi") sul sistema della responsabilità civile in ambito sanitario.

Su tale contestò normativo e giurisprudenziale è intervenuta alla fine del 2012 la "legge Balduzzi" L. 8 novembre 2012 n. 189 la quale ha espressamente inteso contenere la spesa pubblica e arginare il fenomeno della "medicina difensiva", sia attraverso una restrizione delle ipotesi di responsabilità medica, (spesso alla base delle scelte diagnostiche e terapeutiche "difensive" che hanno un'evidente ricaduta negativa sulle finanze pubbliche) sia attraverso una limitazione dell'entità del danno biologico risarcibile al danneggiato in caso di responsabilità dell'esercente una professione sanitaria. L'art. 3 della legge ("Responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie") prevede al comma 1 che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo".

Occorre dunque valutare l'impatto dell'art. 3 della L. n. 189 del 2012 ("legge Balduzzi") sul delineato sistema della responsabilità in ambito sanitario e sulla responsabilità del medico in particolare.

Il dibattito che sì è sviluppato in dottrina dopo l'entrata in vigore della legge si è incentrato principalmente sul secondo inciso della norma ed è caratterizzato da opinioni contrapposte, rispecchiate nelle pronunce giurisprudenziali di merito note.

Il richiamo esplicito alla disciplina della responsabilità risarcitoria da fatto illecito (art. 2043) è stato visto da alcuni come una sorta di "etecnico" rinvio alla responsabilità risarcitoria dell'esercente la professione sanitaria (in tal senso, fra gli altri, Tribunale di Arezzo 14/2/2013 e Tribunale di Cremona 19/9/2013), mentre altri (Tribunale di Varese 29/12/2012) hanno inteso da subito vedere nella previsione in esame una indicazione legislativa (di portata indirettamente/implicitamente, interpretativa) volta a chiarire che, in assenza di un contratto concluso con il paziente, la responsabilità del medico non andrebbe ricondotta nell'alveo della responsabilità da inadempimento/inesatto adempimento (comunemente detta "contrattuale") bensì in quello della responsabilità da fatto illecito (comunemente detta "extracontrattuale"). Gli estremi delle contrapposte opinioni emerse nella giurisprudenza di merito paiono ben rappresentati da una pronuncia, del Tribunale di Torino del 26/2/2013 e da quella del Tribunale di Rovereto del 29/12/2013.

(omissis) Ferma la responsabilità (distinta ed autonoma) ex art. 1218 c.c. della struttura sanitaria, qualora il danneggiato intenda agire in giudizio (anche o soltanto) contro il medico, occorre infatti necessariamente distinguere l'ipotesi in cui il paziente ha concluso un contratto con il professioni da quella in cui tali parti non hanno concluso nessun contratto

Non pare dubitabile che il danneggiato può utilmente continuare ad invocare da inadempimento ex art. 1218 c.c., del medico qualora provi che le parti hanno concluso un contratto d'opera professionale, senza che assuma alcun rilievo il fatto che la prestazione medico-chirurgica sia stata eventualmente resa (in regime ambulatoriale o di ricovero) presso una struttura sanitaria (pubblica o privata). In tal caso il medico è legato al paziente da un rapporto contrattuale (diverso sia dal rapporto che lega il sanitario alla struttura nella quale opera, sia dal rapporto che intercorre fra il paziente e la struttura) e pertanto la sua responsabilità risarcitoria ben può (e deve) essere ricondotta alla responsabilità di inadempimento ex art. 1218 c.c.

In presenza di un contratto fra paziente e professionista, nessun riflesso quindi può avere sulla qualificazione della responsabilità risarcitoria del medico la previsione contenuta nel comma 1 dell'art. 3 della legge Balduzzi, in particolare il richiamo all'art. 2043 c.c. 

Va in tal senso pienamente condivisa raffinazione della Cassazione secondo cui è escluso che la legge 189 abbia inteso esprimere un'opzione a favore della qualificazione della responsabilità medica "necessariamente" come responsabilità extracontrattuale

Non può invece essere condivisa l'interpretazione complessiva del secondo inciso dell'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi che emerge dalla motivazione (non anche dalla massima sopra richiamata) dell'ordinanza della Cassazione n. 8940 del 2014 - laddove la Corte conclude che a tale norma non andrebbe attribuito alcun rilievo che possa indurre a superare l'orientamento giurisprudenziale "tradizionale" in tema di responsabilità medica- la quale pare inserirsi nel solco delle letture che sostanzialmente tendono a vanificare la portata della norma.

Sembra corretto interpretare la norma nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico (e agli altri esercenti una professione sanitaria) va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell'onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno. Così interpretato, l'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi porta dunque inevitabilmente a dover rivedere l'orientamento giurisprudenziale pressoché unanime dal 1999 che riconduce in ogni caso la responsabilità del medico all'art. 1218 c.c., anche in mancanza di un contratto concluso dal professionista con il paziente.

Peraltro, si è segnalato che il superamento della teoria del "contatto sociale" (e della relativa disciplina giuridica che ne consegue in termini di responsabilità risarcitoria) in relazione al medico inserito in una struttura sanitaria e che non ha concluso nessun contratto con il paziente, non sembra, comportare un'apprezzabile compressione delle possibilità per il danneggiato di ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla lesione di un diritto fondamentale della persona (qual è quello alla salute) in considerazione sia del diverso regime giuridico applicabile alla responsabilità della struttura presso cui il medico opera, sia della prevedibile maggiore solvibilità della stessa, il danneggiato sarà infatti ragionevolmente portato a rivolgere in primo luogo la pretesa risarcitoria nei confronti della struttura sanitaria.

Riepilogo del sistema di responsabilità civile in ambito sanitario dopo la "legge Balduzzi".

Sulla base del delineato ambito applicativo e della interpretazione dell'art. 3 comma 1 L. 189/2012 che si ritiene preferibile, l'articolato sistema della responsabilità civile in ambito sanitario sembra possa essere così sintetizzato:

- l'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della ed attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico); in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'art. 1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi;

- il richiamo nella norma suddetta all'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. per l'esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel S.S.N.) ed è chiamata a rispondere ex art. 1218 c.c. dell'inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall'operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa;

- il tenore letterale dell'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e l'intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoti a del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare);

in ogni caso l'alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico "ospedaliero, che deriva dall'applicazione dei criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalia legge Balduzzi non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della, struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo "contrattuale" ex art. 1218 c.c.;

- se dunque il paziente danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in "contatto" presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex art. 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare;

La responsabilità risarcitoria dei convenuti nel caso concreto.

Il materiale probatorio acquisito consente di affermare che nel caso concreto è ravvisabile la responsabilità risarcitoria sia del medico sia della struttura sanitaria.

In particolare, nella condotta del medico dott. (...) si ravvisano tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito ex art. 2043 c.c., necessari come detto per l'affermazione della responsabilità civile del medico-chirurgo non legato nel caso concreto al paziente da un rapporto contrattuale. Nella relazione depositata il CTU riferisce: che "l'intervento eseguito dal dott. (...) presso la struttura sanitaria, convenuta è consistito in una tiroidectomia totale che in mani esperte non comporta solitamente problemi tecnici di speciale difficoltà" (p. 14 della relazione): che le linee guida raccomandavano per l'intervento in questione, fra l'altro l'uso di "tecniche chirurgiche con dissezione accurata allo scopo di identificare precocemente il nervo", una "attenta conduzione dell'atto chirurgico nel modo più esangue possibile ed evitando ripetute manipolazioni", il "monitoraggio intraoperatorio dell'attività del nervo il "controllo pre e post-operatorio della motilità cordale con conseguente valutazione otorinolariugoiatrica" (p. 8); che "nel caso de quo, nella descrizione dell'intervento non ci sono evidenze di isolamento dei nervi laringei ma si cita solo la preventiva legatura e sezione dei peduncoli vascolari e la sola visualizzazione del nervo laringeo ricorrente di sinistra e la sua conservazione peraltro non scevra da insulto (sofferenza temporanea) vista l'emergenza respiratoria post-intervento"; che "nel caso specifico pur in presenza di campo operatorio limitrofo ad esiti di precedenti interventi non furono attuate metodiche al tempo disponibili per identificare e proteggere le strutture nervose causando un danno alle stesse che comportarono subito dopo l'intervento la gestione di una urgenza respiratoria da parte della unità di crisi intensiva e successivamente un danno irreversibile al nervo laringeo destro con conseguenze sulla funzione fonatoria e respiratoria della laringe".

Oltre al medico convenuto, parimenti responsabile del danno subito dall'attore è la struttura sanitaria, la quale come ricordato sopra era direttamente obbligata ad adempiere tutte le prestazioni dovute in base al "contratto di spedalità" concluso con il paziente.

I danni subiti dall'attore.

Il danno non patrimoniale.

Dall'illecito descritto, avvenuto il xxxx l'attore (...) (nato il ...1956) ha riportato "un danno chirurgico irreversibile a carico del nervo laringeo ricorrente destro (...) ed un danno transitorio a carico di quello sinistro (...) che hanno prodotto come esito una riduzione dello spazio respiratorio laringeo con conseguente dispnea da sforzo ed una disfonia di grado lieve per compenso della cv sinistra e delle false corde".

Secondo il condiviso responso del C.T.U. ciò ha comportato per il danneggiato una maggior durata della malattia - rispetto a quella che un paziente con analoga patologia e nelle medesime condizioni soggettive avrebbe comunque sopportato - con temporanea totale inabilità alle ordinarie occupazioni per 30 giorni e parziale per ulteriori 60 giorni (20 giorni al 75%, 20 giorni al 50% e 20 giorni al 25%): inoltre, i postumi residuati concretizzano un danno all'integrità psico-fisica dell'attore di natura esclusivamente iatrogena pari all'11% (vd p. 10 della relazione in atti). Pur ritenendosi che il criterio legale previsto dall'art. 3 co., 3 della legge Balduzzi - ove come detto si fa espresso richiamo alle tabelle degli artt. 138 e 139 del cod. ass. per la liquidazione del danno biologico conseguente alla responsabilità professionale dell'esercente una professione sanitaria - trova applicazione anche in relazione ai fatti dannosi verificatisi prima dell'entrata in vigore di tale legge (come già affermato in altre pronunce di questo tribunale alle quali si rinvia), la mancata adozione della tabella prevista dall'art. 138 per le cd macropermanenti (menomazioni dell'integrità psico-fisica comprese tra 10 e 100 punti) rende impossibile procedere nel caso concreto alla liquidazione del danno secondo il criterio legale (allo stato applicabile solo alle ed micropermanenti previste nella tabella, adottata ex art. 139).

A fronte delle riferite conclusioni del CTU, sulla base delle richiamate tabelle giurisprudenziali di liquidazione equitativa del danno alla persona il pregiudizio da temporanea può quantificarsi in moneta attuale in complessivi euro 5.900,00, mentre quello permanente - tenuto conto dell'età (52 anni) del danneggiato all'epoca dei fatti e dell'entità del gradiente invalidante riscontrato dal CTU (11%) - può essere monetizzato all'attualità in complessivi euro 23.715,00.

Il danno alla salute sopra indicato non esaurisce tuttavia nel caso concreto l'intero danno non patrimoniale risarcibile al danneggiato.

Si ritiene infatti che taluni, apprezzabili aspetti (o voci) che vengono in rilievo e che da tempo sono solitamente ricondotti dalla giurisprudenza prevalente nella unitaria categoria generale del danno non patrimoniale, non risulterebbero adeguatamente risarciti con la sola applicazione dei predetti valori monetari della tabella.

Per l'integrale risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dall'attore è infatti necessario procedere ad una adeguata "personalizzazione", avendo riguardo a quei profili riconducibili alla sofferenza soggettiva, ai pregiudizi alla vita di relazione e ai riflessi negativi sulle abitudini di vita che possono ritenersi sussistenti in relazione alle conseguenze dell'errato intervento chirurgico. Il danneggiato è stato sottoposto a un periodo di terapia intensiva (necessitata dall'insorta insufficienza respiratoria), poi ha dovuto subire una tracheotomia (temporanea) e in seguito - a causa della disfonia e della ridotta capacità respiratoria che sono residuate dall'errata prestazione sanitaria - si è visto costretto ad una quotidiana difficoltà nella vita di relazione e a dover rinunciare a svolgere pienamente anche talune comuni attività che caratterizzano la vita di un soggetto della sua età (come evidenziato dalla difesa attrice e specificamente contestato dai convenuti).

Alla luce di tali considerazioni e per addivenire ad un integrale risarcimento che tenga, conto dei vari aspetti che concorrono nella individuazione del composito danno di cui si discute - senza di scostarsi dall'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che richiama ad una liquidazione unitaria, del danno alla persona onde evitare inammissibili duplicazioni di poste risarcitone - si ritiene di "personalizzare" il danno subito dall'attore aumentando la somma suddetta risultante dall'applicazione delle tabelle (euro 29.615,00) fino ad euro 38.000,00, che costituisce quindi il complessivo danno, non patrimoniale risarcibile liquidato al valore attuale dalla moneta.

Il lucro cessante per il ritardato risarcimento del danno.

L'intero danno non patrimoniale è stato liquidato equitativamente - sulla base della richiamata tabella di liquidazione del danno alla persona - ai valori attuali della moneta e non deve quindi tarsi luogo alla sua rivalutazione.

Inoltre, alla luce dell'insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (risalente alla sentenza del 17/2/1995 n. 1712), vertendosi in tema, di debito di valore non sono dovuti al danneggiato sul credito risarcitorio suddetto gli interessi legali con decorrenza dall'illecito.

Si ritiene tuttavia, in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso dall'illecito (6 anni) e delle caratteristiche del danneggiato, che vada riconosciuta all'attore un'ulteriore somma a titolo di lucro cessante provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili - e conseguentemente dalla mancata disponibilità dell'equivalente pecuniario spettante al danneggiato potendo ragionevolmente presumersi che il creditore, ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della somma, l'avrebbe impiegata in modo fruttifero.

(omissis) Nel caso di specie, considerato il tempo trascorso da quando il danno subito dall'attore si è pienamente verificato (2008) l'importo in questione viene dunque equitativamente liquidato attraverso una maggiorazione del 18% dell'intero danno suddetto (già rivalutato) e risulta pari ad euro 6.840,00.

Il complessivo danno risarcibile e la condanna solidale dei responsabili.

Dalla somma delle voci di danno sopra liquidate si ottiene quindi un credito complessivo del danneggiato pari ad euro 44.840,00 (euro 38.000 + euro 6.840).

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Francesco Pandolfi
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