La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 25380/2014 ha rigettato il ricorso di un ex dipendente della IBM, licenziato per giusta causa, confermando il giudizio d'Appello (il licenziamento era stato dichiarato illegittimo in prima istanza). La Suprema Corte ha sottolineato che la giusta causa di licenziamento

è nozione legale e che il giudice non è vincolato da quanto previsto nel contratto collettivo: pertanto, egli può ritenere che sussista una giusta causa qualora ravvisi, da parte del lavoratore, un grave inadempimento o un grave comportamento, contrario alle comuni norme etiche o civili, che abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario col datore di lavoro. La Corte ha, altresì, ribadito che il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete che hanno contraddistinto il comportamento del lavoratore, può escludere che questo configuri di fatto una giusta causa, anche quando viene qualificato come tale dal contratto collettivo. In riferimento alla quaestio facti, la Cassazione ha confermato che le contestazioni di ingiustificata e protratta assenza, nonché le non veridiche comunicazioni inerenti la causa dell'impedimento risultano idonee a configurare una giusta causa di licenziamento
ex art. 2119 c.c. Il coinvolgimento dell'ex dipendente in un'indagine di pedopornografia, che aveva comportato il sequestro del PC aziendale, non era stato contestato dalla IBM, in quanto non accertato: la Corte ha ritenuto, pertanto, infondata la censura secondo cui il licenziamento si era basato su fatti conosciuti in seguito. L'accertamento dell'insussistente diritto alla reintegra esclude il diritto all'indennità sostitutiva della stessa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 1 dicembre 2014, n. 25380 Presidente Macioce –

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