La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema delle sostanze stupefacenti, nel solco della sentenza della Corte Costituzionale 32/2014
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema delle sostanze stupefacenti, nel solco della sentenza della Corte Costituzionale 32/2014 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della normativa sugli stupefacenti intercorsa tra il 2006 ed il marzo 2013.

Nello specifico la Corte di Cassazione ha esaminato un caso riguardante la detenzione di bustine contenenti marijuana censurando parte delle decisioni emesse in primo ed in secondo grado.

La Suprema Corte evidenzia che, il Giudice di primo grado, con decisione confermata anche dalla Corte d'appello, aveva indicato il valore di partenza della sanzione detentiva in sette anni, aumentato fino ad otto anni per la ritenuta recidiva, e diminuito fino a cinque anni e quattro mesi per l'applicazione dell'art. 442 cod. procedura penale".

In entrambe le sentenze di merito, spiega la Cassazione, viene dato rilievo alla quantità non trascurabile della droga sequestrata e ai profili di obiettiva gravità della condotta che si era sostanziata in una "attività organizzata, con ripartizione dei compiti e presidio del territorio, anche in funzione di prevenzione delle attività investigative".

La Corte d'appello, spiega la Cassazione, ha enunciato un corretto principio di diritto (la tenuità del fatto, rilevante a fini di applicazione del comma 5 dell'art. 73, deve sussistere quanto ad ognuno dei profili di apprezzamento indicati nella fattispecie) e ne ha fatto motivata applicazione. 


Tuttavia, in base alla decisione della Corte Costituzionale sopra citata, la sentenza impugnata viene annullata con rinvio, poiché è necessario procedere ad una rideterminazione della pena ritenuta eccedente in relazione ai valori edittali vigenti in merito alla illecita detenzione di sostanza stupefacente (del genere marijuana).


Sono stati, invece, ritenuti infondati i motivi di censura sollevati dal ricorrente con riferimento ad altri punti della decisione tra cui la propria partecipazione ai fatti. Le attività investigative, avuto riguardo al ruolo di coordinamento e supervisione dell'imputato nelle attività di spaccio, hanno escluso che egli potesse considerarsi "anello debole della catena organizzativa", definizione che il Giudice di prime cure ha riferito solo ai pusher ed alle vedette.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione (Sentenza 21 novembre 2014, n. 48433), annullando la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena, ha chiarito che il principio di diritto relativo alla tenuità del fatto, già ripreso e confermato dalla Corte d'Appello e rilevante ai fini dell'applicazione del comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, deve necessariamente sussistere per ogni profilo di apprezzamento indicato nella fattispecie (mezzi, modalità o circostanze dell'azione, qualità e quantità delle sostanze).

Cassazione Penale testo Sentenza 21 novembre 2014, n. 48433

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