"L'omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell'intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 cod. proc. civ., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l'esatta identità di tutte le parti".

Così ha deciso la sesta sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 19331 depositata il 12 settembre scorso, in una vicenda inerente il ricorso di un uomo avverso il rigetto dell'opposizione all'atto di precetto notificato dall'avvocato per il recupero di somme riconosciute a suo favore quale procuratore distrattario. Il ricorrente lamentava, in particolare, l'inesistenza della sentenza impugnata per incertezza sul nome del resistente, ma i rilievi, secondo la Corte non colgono nel segno.

Richiamando la giurisprudenza consolidata in materia (cfr., ex multis, Cass. n. 7343/2010), la S.C. ha infatti ricordato che la nullità può essere pronunciata "quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo", ma non se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Per cui, l'errore materiale consistente nell'inesatta indicazione del nome di una delle parti può comportare la nullità della sentenza

solamente "qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell'art. 1101 c.p.c." ovvero quando sussiste "una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell'intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce".

Escludendo, pertanto, per tabular, tale eventualità nella fattispecie esaminata, la Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.


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