Avv. Francesco Albanese  

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Con sentenza del 4 settembre 2014, la quinta sezione della Corte di Giustizia europea ha dichiarato incompatibile con il diritto comunitario il disposto dell'art. 83 bis (tutela della sicurezza stradale e della regolarità del mercato dell'autotrasporto di cose per conto terzi) del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008. 

La Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda a seguito dell'ordinanza di rimessione emessa il 17 gennaio 2013 dal TAR del Lazio, è entrata nel merito di un tema particolarmente sgradito alle grandi imprese operanti nel settore della distribuzione, ovverosia ai "committenti" dei servizi di trasporto.

Con l'art. 83 bis del d.l. 112/2008, il nostro legislatore aveva infatti introdotto, all'indomani dell'abrogazione delle tariffe obbligatorie cd. a forcella (in forza delle quali era previsto un sistema di controllo del corrispettivo dei trasporti) un nuovo meccanismo di adeguamento del prezzo del trasporto volto a garantire la sicurezza stradale.

L'obiettivo finale era quello di imporre alle parti del contratto di trasporto di stabilire un corrispettivo funzionalmente collegato ai costi da destinare alla sicurezza stradale, costi che possono tradursi nella manutenzione periodica degli automezzi e nel rispetto delle norme sui tempi di guida e di riposo.

A mente del richiamato art. 83 bis, in sintesi, il corrispettivo del trasporto non può essere inferiore ai costi minimi di sicurezza quantificati sommando il costo del carburante e il costo di esercizio delle imprese operanti nel detto settore, quest'ultimo comprensivo anche delle voci di spesa relative alla retribuzione dei dipendenti, alla manutenzione e all'assicurazione del veicolo (espressi per km di percorrenza a seconda delle diverse categorie di veicoli); il tutto con l'obiettivo di garantire l'interesse pubblico della sicurezza stradale.

La detta quantificazione è stata materialmente effettuata prima dall'Osservatorio sulle attività di autotrasporto (di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286) e poi dal Ministero dell'Infrastruttura e dei Trasporti.

Per le imprese di autotrasporto, soprattutto per le piccole imprese, il disposto dell'83 bis rappresentava dunque un ancora di salvezza in grado di compensare il netto e significativo squilibrio tra le forze delle parti del contratto di autotrasporto. 

Rappresentava, appunto. 

Ora non più. 

Per la Corte di Giustizia i costi minimi sono idonei "a restringere il gioco della concorrenza nel mercanto interno" (cfr. punto 46 della sentenza) e, quindi, si  pongono in contrasto con quanto statuito dal combinato disposto dell'art. 101 del TFUE e 4 del TUE.

L'art. 101 del TFUE, in particolare, stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno dell'Unione, e quindi vietati, tutti gli accordi tra imprese idonei a fissare i prezzi di acquisto e di vendita

La Corte ha applicato l'art. 101 del TFUE perché ha considerato l'Osservatorio sulle attività di autotrasporto al pari di "un'associazione di imprese" (v. punto 41 della citata sentenza) in ragione della sua composizione interna, rappresentata nella misura dell'80% da esponenti delle associazioni degli autotrasportatori e dei committenti e nella misura del 20% da rappresentanti delle amministrazioni statali.

Equiparando l'Osservatorio a una associazione di imprese, dunque, i costi minimi di sicurezza stabiliti da quest'ultimo ente sarebbero, per la Corte di Giustizia, idonei a ledere le regole di concorrenza.

Secondo la medesima Corte, "la normativa nazionale non contiene né regole procedurali né prescrizioni sostanziali idonee a garantire che l'Osservatorio si comporti, in sede di elaborazione dei costi minimi d'esercizio, come un'articolazione del pubblico potere che agisce per obiettivi d'interesse pubblico" (cfr. punto n. 38 della sentenza).

Sta di fatto che l'Osservatorio ha quantificato i costi minimi dell'autotrasporto per tutto l'arco temporale compreso tra il mese di novembre del 2011 e il mese di agosto del 2012. Per tutto il periodo successivo e sino allo scorso mese di agosto, invece, i costi minimi sono stati quantificati direttamente da un ente pubblico, ovverosia dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

In questi ultimi due anni, pertanto, i costi minimi sono stati quantificati non da ente astrattamente espressivo di interessi privati ma direttamente ed esclusivamente da un ente pubblico.

Nonostante tale pacifica circostanza, idonea, di per sé, a escludere l'applicazione dell'art. 101 del TFUE, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha comunque affermato che la normativa italiana -e, segnatamente, l'art. 83 bis del d.l. 112/2008- non può "essere giustificata da un obiettivo legittimo", quale è appunto quello della sicurezza stradale. 

Si legge, nella parte "motivazione" della sentenza, che la determinazione dei costi minimi di esercizio "non risulta idonea né direttamente né indirettamente" a garantire il conseguimento dell'obiettivo della sicurezza stradale (cfr. paragrafo 51 della sentenza).

Sul punto è tuttavia necessaria una breve riflessione. 

Se può condividersi l'assunto per cui il conseguimento di un corrispettivo superiore ai costi minimi (rappresentati, lo si ribadisce, dalla sommatoria dei costi del carburante e dai costi di esercizio delle imprese di autotrasporto) potrebbe non necessariamente tradursi in un vantaggio per la sicurezza stradale, ad esempio nell'ipotesi in cui il vettore non reinvestisse il maggior utile conseguito nella sicurezza stradale utilizzando automezzi sempre efficienti, altrettanto non può ritenersi nella diversa ipotesi, pure considerata dalla Corte, in cui il corrispettivo del trasporto sia pattuito in misura inferiore ai "costi minimi obiettivi" sostenuti dall'autotrasportatore. 

In tale ipotesi verrebbero giocoforza sacrificate le risorse aziendali destinate alla sicurezza. E non potrebbe essere diversamente. 

In altri termini, con la bocciatura dei costi minimi previsti dall'83 bis, l'iniziale dubbio sull'effettivo reimpiego delle risorse nel settore della sicurezza si tramuta, inevitabilmente, in una amara certezza matematica. 

Non convince, peraltro, l'ulteriore e consequenziale statuizione della Corte di Giustizia per cui le norme comunitarie che regolano la durata massima settimanale del lavoro, le pause, i riposi lavorativi, il lavoro notturno e il controllo tecnico degli autoveicoli, rappresenterebbero molto più efficacemente dei costi minimi di sicurezza, "misure più efficienti e meno restrittive" della libertà di concorrenza . 

Secondo i dati ISTAT, solo nel 2011 sono state trasportate complessivamente in Italia 1.314.582.692 tonnellate di merce e circa il 73 % delle stesse sono state movimentate per conto terzi. 

Sono pertanto davvero enormi i volumi di merci e prodotti che quotidianamente vengono trasportati da una parte all'altra del Paese.

Ragion per cui, allo stato, non potrebbe essere garantito un controllo capillare su tutti i mezzi pesanti in movimento.

Sin dal giugno del 1974 il legislatore italiano ha sentito, non a caso, la necessità di introdurre criteri correttivi alla libertà di iniziativa economica nel settore dell'autotrasporto. 

La ragione di tale intervento è solo una ed è rappresentata dall'esigenza concreta di cercare di contenere l'insormontabile squilibrio tra le forze negoziali dei protagonisti del contratto di trasporto: da una parte le grandi imprese committenti, dall'altra un elevatissimo numero di piccole e piccolissime imprese di autotrasporto, molte delle quali monoveicolari. 

E' ragionevole preconizzare che lo squilibrio tra le forze contrattuali e la corsa ai ribassi dei prezzi porterà nuovi e più nefasti svantaggi alla sicurezza stradale.  

Analogamente a quanto accade in altri ambiti produttivi, dunque, anche nel settore dell'autotrasporto di cose per conto terzi urgono nuovi interventi correttivi dello Stato ed una nuova riflessione sulla necessità di contemperare  la liberà di concorrenza con il valore  della sicurezza stradale.

Resta da chiedersi, poi: ma davvero la libertà di concorrenza è minata dalla previsione di una tariffa minima costituita dai costi obiettivi di esercizio e non, invece, dalle assai diverse regole fiscali, amministrative e burocratiche vigenti nei diversi Stati membri dell'Unione? 

Avv. Francesco Albanese

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