di Paolo M. Storani - (SECONDA PARTE) In previsione del varo del pacchetto civile che avverrà in occasione dell'imminente Consiglio dei Ministri del 29 agosto 2014 (primo step: abbattimento del contenzioso arretrato e specializzazione dei tribunali, poi verranno i temi sensibili dell'allungamento della prescrizione penale, la responsabilità civile dei magistrati, la reintroduzione del falso in bilancio, il nuovo reato di autoriciclaggio, la riforma del CSM e la limitazione alla pubblicazione delle intercettazioni) mi occupavo del processo civile, ricordando un articolo del giugno 2013, apparso sul Fatto Quotidiano, del Dott. Bruno Tinti, già Procuratore della Repubblica di Ivrea ed Aggiunto alla Procura di Torino.

Errori di metodo prima che di merito emergono dagli scritti dedicati alla crisi della Giustizia nel settore civile.

La responsabilità degli avvocati a me appare assai sfumata, mentre l'ex Procuratore è decisamente colpevolista.

Sarebbero i legali a procrastinare all'infinito i tempi procedurali, chissà mai per quale recondito motivo.

Addirittura, prima che la causa venga decisa "depositano le comparse conclusionali, dove hanno riscritto in bella copia tutto quello che avevano scritto nelle memorie e istanze precedenti".

Mi occuperò in prosieguo di un articolo recentissimo del medesimo Autore di appena qualche giorno fa in cui si sostengono altre inconferenti tesi.

In sostanza, se ho bene afferrato il pensiero del Dott. Bruno Tinti, egli tratterebbe di una categoria, quella degli avvocati, più o meno composta da ciarlatani - tutti, non qualche singola mela marcia da punire - intenti a scrivere e riscrivere all'impazzata quello che già hanno scritto in precedenza, ma in pessimo modo, a tutto danno dei loro clienti, destinati a sciagura sicura.

Proprio come i ciarlatani venditori di medicamenti prodigiosi sulle pubbliche piazze, che sfruttavano la buona fede del popolino, artefici di una pseudoscienza che non risponderà mai a quanto promesso.

Un metodo davvero superficiale di indagine sulle origini della crisi.

Mi limito a ricordare al prestigioso Magistrato in quiescenza, che si dichiara nel blog attuale avvocato iscritto all'Ordine di Roma, che magistratura ed avvocatura sono rami dello stesso albero ed un approccio come il suo, certamente pagante in termini di presa sul consenso di chi non conosce la realtà dei palazzi di giustizia (è sufficiente scorrere alcuni adoranti commenti), contribuisce a danneggiare il mondo del processo.

Un altro approccio che mi ha sorpreso, parimenti proveniente da un altro Magistrato che ho apprezzato in passato, è quello del famoso Gip dell'inchiesta Mani Pulite.

Ecco quanto sostiene, invece, l'ottimo mio Collega (anche del Gruppo di studio che ruota attorno alla figura del Prof. Paolo Cendon) Marcello Adriano Mazzola nella chiusa di un brillante post pubblicato il 20 agosto 2014 sotto il titolo Riforma della giustizia, cause troppo lunghe, di chi è la colpa? parimenti sul blog che tiene da tempo su Il Fatto Quotidiano: L'ultima tesi ostentata dai magistrati (come dimostra anche l'ultima uscita del dott. Davigo) e cavalcata dai mass media è l'assioma tanti avvocati = tanti processi. E' come sostenere che l'aumento dei dentisti causi un numero maggiore di carie. E' indubbio come l'avvocatura italiana sia numericamente eccessiva (ma le commissioni d'esame, - dunque anche quelle imbarazzanti calabresi che per anni hanno promosso col 99% le truppe migranti da ogni foro italiano-, sono composte ex lege anche da molti magistrati) ed è ben possibile che in mezzo ci siano avvocati poco diligenti e accorti che mal consiglino i clienti (e gli Ordini dovrebbero intervenire!) ma sostenere che 5 milioni di processi pendenti siano imputabili a ciò, è una tesi prima ancora che illogica, ridicola.

L'avvocatura ha certo tante responsabilità ma una più di tutte: essersi posta supina al cospetto della magistratura in questi ultimi decenni accettandone prassi e negligenze, senza denunciarle e senza contrastarle.

Come già spiegato i tempi del processo li detta e li governa esclusivamente la magistratura. Stia dunque meno a casa, meno in vacanza, meno a occuparsi di correnti e più nei tribunali. E soprattutto ascolti, anche i lamenti di dolore". Ben detto, caro Marcello!

Dieci anni fa esatti (era il 2004) moriva ENZO BALDONI, di professione UOMO, che amava la Giustizia con la maiuscola, era un omone curioso e puro come l'acqua di fonte; alcuni suoi scritti - perché scriveva divinamente - che ci ha lasciato rappresentano molto per me. Certo che pochissimi organi di informazione si ricorderanno della sua nobile figura, voglio farlo io qui su queste colonne virtuali, ma VERE come era, come tuttora è Enzo. Partí alla volta dell'Iraq con un convoglio della Croce Rossa Italiana per portare aiuti a Najaf, cittadina assediata priva di acqua e di viveri. Era in testa alla colonna dei veicoli con una pettorina crociata e la bandiera bianca, consegnò i viveri ed i soccorsi per i feriti, ripartí, ma una mina esplose sotto la sua auto e venne rapito, mentre il convoglio della CRI non si fermò a raccoglierlo e lo abbandonò insieme al suo autista e traduttore Ghareeb. Il Governo italiano ci mise sei anni per far rientrare la salma, al contrario di quello francese che salvò i due giornalisti sequestrati dallo stesso Esercito Islamico in Iraq quel medesimo 20 agosto 2004. Soltanto le città siciliane di Avola, Ragusa e Licata, oltre a Montesilvano hanno dedicato una via o una piazza ad Enzo, mentre a Roma gli è intitolato il Centro di Formazione Professionale di Via Decio Azzolino. (Fine della seconda parte - CONTINUA)

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