"Si presume l'esistenza di contatti con il pubblico nei casi di attività destinata per sua natura a comportare tali contatti, con la possibilità per il locatore di provare in concreto che l'immobile abbia avuto una diversa destinazione. Al di fuori di questi casi, e quindi quando dalla destinazione individuata dalle parti in contratto non si desuma il contatto diretto con il pubblico, si riafferma la regola generale dell'onere probatorio, in base alla quale incombe al conduttore dimostrare le condizioni che comportano il riconoscimento dell'indennità per la perdita dell'avviamento".

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (terza sezione civile) nella sentenza n. 17102, depositata il 28 luglio 2014, in una fattispecie riguardante la richiesta, da parte di una società, del pagamento dell'indennità per la perdita di avviamento a seguito della cessazione del contratto di locazione immobiliare conseguente alla disdetta da parte dell'impresa locatrice.

Rigettata la domanda in primo grado, la Corte d'appello confermava la sentenza

sul rilievo che non fosse stato adeguatamente provato che lo stabile fosse "aperto ad un pubblico indistinto" di utenti e consumatori, essendo prevalenti invece gli elementi che inducevano a propendere per la destinazione a sede organizzativa o amministrativa dello stesso. La società ricorreva per Cassazione, sostenendo che il requisito del contatto diretto con il pubblico era "desumibile dalla stessa pattuizione contrattuale che prevedeva un utilizzo esclusivo per lo svolgimento di attività di mediazione immobiliare, dal che sarebbe dovuto conseguire che era il locatore a dover provare che il conduttore non aveva svolto l'attività di intermediazione immobiliare".

La Cassazione è di avviso contrario. Condividendo le statuizioni della corte territoriale, la S.C. ha infatti preliminarmente ricordato che "in tema di locazione

di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la destinazione dell'immobile all'esercizio dell'attività commerciale, in tanto può determinare l'esistenza del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento, in quanto il conduttore istante provi che il locale possa essere considerato come luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, da sé solo in grado di esercitare un richiamo su tale generalità, cosi divenendo un collettore di clientela ed un fattore locale di avviamento". Ciò vale anche nel caso in cui l'immobile sia stato "dato in locazione per essere destinato ad un'attività che secondo le sue modalità tipiche comporta contatto diretto con il pubblico, come quella di intermediazione immobiliare - ma - la spettanza del diritto all'indennità è subordinata alla prova che l'attività sia rivolta, in concreto, a soddisfare le esigenze non di singoli soggetti direttamente contattati o di singoli altri operatori economici, ma della indistinta generalità degli interessati, raggiunti attraverso la diffusione di messaggi tipici per tale genere di attività".

Richiamando i principi affermati da Cass. n. 10615/2010, ricordata dalla stessa ricorrente, la Cassazione ha, infatti, sottolineato che l'onere di provare che l'immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico di utenti e consumatori, non spetta al conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, "se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile", gravando invece sul locatore che eccepisca la diversa destinazione effettiva. In caso contrario, quando "la destinazione individuata dalle parti in contratto non implichi il contatto diretto con il pubblico ma, nel quadro dell'attività della parte conduttrice o anche della stessa destinazione prevista dalle parti, possa in concreto implicare o non implicare quel contatto, compete al conduttore provare che, com'era lecito nell'economia del regolamento contrattuale, l'immobile é stato effettivamente adibito ad attività comportante il contatto in questione".

Pertanto, ritenendo che, nel caso di specie, a fronte di un contratto che non prevedeva espressamente la destinazione del bene ad un'attività comportante sempre e comunque contatti con la platea indifferenziata degli utenti, gravasse sulla conduttrice la prova che l'immobile (sebbene locato ad una società che svolge, in ambito nazionale, attività di intermediazione immobiliare) fosse in concreto utilizzato per il compimento di attività destinate alla "indistinta generalità degli interessati", la S.C. ha rigettato il ricorso condannando la ricorrente a rifondere le spese di lite.


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