Non c'è aggravante del furto in abitazione, se il luogo dove il reato è perpetrato, per sua natura o per l'uso fatto in concreto, non è destinato all'esplicazione di attività proprie della vita privata (domestiche, familiari o produttive, professionali, culturali e politiche) della persona offesa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (IV sezione penale) con sentenza n. 33413 del 29 luglio 2014, accogliendo il ricorso di un uomo, condannato in primo e in secondo grado per il reato di furto in abitazione, ex art. 624-bis c.p. per avere sottratto merce (nella specie, "scarpe") da un furgone parcheggiato all'interno di un capannone di proprietà della persona offesa.

Secondo la Corte, com'è noto, l'art. 624-bis c.p. prevede quale fattispecie autonoma di reato sanzionata con una pena più severa (rispetto all'art. 624 c.p.), "la condotta dell'impossessamento mediante introduzione in un luogo destinato a "privata dimora" ovvero nelle sue pertinenze", intendendo come tali "tutti quei luoghi non pubblici nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata ovvero attività di carattere culturale, professionale e politico".

Quella di "privata dimora" è, quindi, a detta della Corte, una locuzione "ampia e comprensiva" che si è evoluta nel tempo e nella quale la stessa giurisprudenza vi ha fatto rientrare, di volta in volta: gli studi professionali; i pubblici esercizi nelle ore di chiusura; la portineria di un condominio e le aree comuni; l'interno di un campo da tennis inserito in un complesso alberghiero; una baracca adibita a spogliatoio in un cantiere edile e, persino, la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto.

Tuttavia, ha rilevato la Corte, pur considerando tale ampio campo semantico, rilevante ai fini della identificazione del concetto di privata dimora, allo scopo di individuare una linea di discrimine tra la più grave fattispecie sanzionata dall'art. 624-bis c.p. e quella di cui all'art. 624 c.p., occorre pur sempre che "il luogo nel quale è perpetrato il furto abbia per sua struttura o per l'uso che ne è fatto in concreto una destinazione legata e riservata alla esplicazione di attività proprie della vita privata della persona offesa, ancorché non necessariamente coincidenti con quelle propriamente domestiche o familiari ma identificabili anche con attività produttiva, professionale, culturale, politica. Deve cioè trattarsi di luoghi deputati allo svolgimento di attività che richiedano una qualche apprezzabile permanenza, ancorché transitoria e contingente, della persona offesa, per taluna delle finalità predette".

Trattasi, del resto, di principio conforme alla ratio della previsione che è quella della "tutela della sicurezza fisica della vittima che si trovi all'interno di luoghi nei quali essa soggiorni sia pure per breve tempo per attività privata, essendo inoltre tale tipo di condotta sintomatico di una maggiore audacia e pericolosità dell'agente e, quindi, determinante un maggiore allarme sociale".

Su questo assunto, pertanto, la S.C. ha ritenuto non accertato tale requisito nella fattispecie in esame, poiché trattasi di furto di merce custodita dentro un furgone parcheggiato all'interno di un capannone di proprietà della persona offesa e, pertanto, in luogo "del quale non può ritenersi autoevidente l'ipotizzata destinazione a "privata dimora" sia pure nei sensi predetti, in mancanza, in particolare, di alcuna emergenza in ordine alla effettiva destinazione del capannone medesimo".

Per cui, qualificando il fatto come furto semplice e avuto riguardo alla relativa pena detentiva prevista, la Corte ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato di cui all'art. 624 c.p.


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